Ci sono due notizie che dovrebbero colpire chi in questi giorni si sta interessando alle vicende finanziario-economiche italiane. La prima riguarda gli ordini del settore manifatturiero tedesco cresciuti ad aprile del 2,8% rispetto al mese precedente (+27,8% rispetto ad aprile 2009) contro attese dello 0,5%; la seconda è la manovra finanziaria da 80 miliardi di euro di risparmi che il governo tedesco si appresta ad attuare. L’accoppiata dovrebbe far riflettere alla luce dei corrispettivi dati italiani.
Nel primo caso l’industria tedesca sembra mostrare una notevole capacità di ripresa (vera o finta che sia), che beneficerà in futuro anche della recente svalutazione dell’euro. Possiamo disquisire all’infinito sulla solidità di questa ripresa, se sia e quanto destinata a durare, in ogni caso sono numeri notevoli soprattutto per un Paese che vive di industria ed esportazioni ancora di più del nostro. I dati italiani di aprile non sono ancora disponibili, in compenso quelli di marzo mostrano un incremento dell’1% sul mese precedente rispetto al 5,1% della Germania.
Questa però è solo la premessa per il confronto che dovrebbe far sollevare qualche domanda o, proprio per i più insensibili, qualche sensazione di stranezza. L’Italia che avrà un debito del 121% del Pil nel 2010 fa una finanziaria da 24 miliardi, la Germania con un debito del 77% di 80 miliardi. La manovra italiana ha un orizzonte biennale quella tedesca arriva al 2014.
Non che alla Merkel siano state risparmiate critiche e contestazioni, in alcuni casi del tutto simili alle nostre, però la manovra draconiana sembra già essere filata via liscia. Intanto prima di entrare in qualche dettaglio della manovra tedesca anticipiamo che la differenza di rendimento tra i titoli di stato italiani e tedeschi ha toccato i massimi in questi giorni. Per Panetta di Banca d’Italia l’ampliamento è dovuto principalmente al “flight to quality”. Una bella espressione inglese che torna sempre di moda quando le cose si mettono male e che rende molto bene l’idea delle attuali inclinazioni degli investitori: evitare assolutamente tutto ciò che è incerto e rischioso e scegliere solo il meglio qualsiasi sia il prezzo.
Se questa è stata la reazione del mercato ci sono pochi dubbi che il segnale dato dalla Germania sia stato forte e molto ben accolto. Non verranno tagliati gli investimenti in infrastrutture e ricerca; non ci saranno incrementi dell’IVA o della tassazione delle imprese. I settori “industriali” penalizzati saranno quelli del traffico aereo (un miliardo di euro all’anno arriverà da una tassa sui passeggeri che partono dagli aeroporti tedeschi) e dell’energia nucleare (i 2 miliardi che arriveranno permetteranno però di allungare la vita media delle centrali).
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Tra le altre cose verranno tagliati alcuni sussidi all’economia, i costi dell’amministrazione e i sussidi per la disoccupazione. In Germania il governo ha calcolato che sono 2,2 milioni le persone che ricevono sussidi per la disoccupazione ma in grado di lavorare (700mila madri singole e un milione di persone sopra i 50). Infine più di 10 mila tagli nell’amministrazione pubblica e una riduzione dei salari pubblici del 2,5%.
Da noi tanto per intenderci nessun taglio e solo la sospensione degli aumenti che tra due anni verranno recuperati. A conclusione di tutto Angela Merkel ha dichiarato: “Stiamo affrontando tempi difficili. Non possiamo fare tutto quello che desideriamo, se vogliamo assicurarci un futuro”. Arrivare a provvedimenti di queste dimensioni e così scomodi non è semplice da nessuna parte, eppure la manovra è stata disegnata in poco tempo e verrà portata avanti per quattro lunghissimi anni.
I presupposti detti e non detti che hanno portato a questo risultato sono probabilmente molti; tra questi la consapevolezza di un debito insostenibile o fortemente critico, l’idea che lo stato sociale presente sia non più proponibile nel contesto attuale e che si debbano fare sacrifici oggi in una prospettiva di medio lungo termine; infine una certa flessibilità mentale che permetta di abbandonare l’idea che lo status quo sia immutabile nell’eternità, quanto tutto è già cambiato.
A questo punto è a tutti evidente la sproporzione rispetto a quello che succede in Italia, ed è altrettanto chiaro che non è innanzitutto un problema tecnico. Mentre il nostro principale concorrente europeo si imbarca in questa impresa, da noi la Fiom eccepisce le troppe deroghe al contratto nazionale a Pomigliano (che garantirebbero un futuro solido a migliaia di lavoratori), quando dietro l’angolo c’è la morte industriale del sito (in Polonia a Tichy c’è un capolavoro di efficienza) e gli esempi incredibili di sprechi si trovano senza troppi sforzi ogni giorno sui quotidiani.
La crisi è grave e preoccupa, ma mai quanto un certo immobilismo che sembra serpeggiare tra i più. Diciamo immobilismo e non incoscienza o mancanza di coraggio, perché sembra impossibile che dove c’è il numero più alto di imprenditori si sia persa la capacità di fare sacrifici, rischiare e investire.