Prima che anche dalle parti di Milano arrivi la stagione delle trimestrali e prima di venire sommersi di dati, risultati e soprattutto indicazioni sui prossimi mesi c’è ancora qualche settimana di relativa tranquillità per fare il punto su quello che sarà, mercati permettendo, l’evento societario clou del mercato italiano. Dopo ormai qualche mese dall’annuncio a settembre partirà il lungo iter che porterà alla fine dell’anno alla separazione di Fiat auto dal resto del gruppo.
Il primo passo verso la separazione sarà l’approvazione dell’assemblea straordinaria a settembre: un appuntamento che non dovrebbe regalare cattive sorprese. Tra tutti quelli che potrebbero avere qualcosa da ridire sullo spin-off siamo sicuri che gli azionisti che si presenteranno a votare non avranno nemmeno la minima idea di bocciare il piano. Il progetto ha troppo senso industriale e finanziario perché i primi beneficiari del suo successo possano mettere i bastoni tra le ruote.
Il senso industriale è molto chiaro: Fiat dopo l’operazione su Chrysler crea un player sull’automotive che possa sfruttare tutte le sinergie con l’operatore americano e renderle evidenti al mercato dentro una società dedicata; in futuro una società autonoma verosimilmente renderà più semplice sia una fusione con Chrysler (con diluizione di Exor) la cui realizzazione è solo una questione di tempo sia eventuali ulteriori aggregazioni con soggetti di dimensioni sub-ottimali (Mazda e l’indiana Tata Motors?).
Non è il caso di ripetere che il settore auto ha dinamiche molto particolari con una competizione estrema, in un’attività che richiede forti investimenti e che viene da tutti percepita come un settore critico per l’economia nazionale: non sono idee o opinioni ma numeri, come vedremo dopo, abbastanza indiscutibili.
L’altro polo (CNH e Iveco) subirà un destino non troppo dissimile; seppure drammaticamente più in salute della sorella, anche Cnh e Iveco richiedono una maggiore flessibilità strategica. Cnh è uno dei leader in un mercato oligopolistico (come quello dei macchinari per l’agricoltura) e verosimilmente non ha bisogno di grandi stravolgimenti; Iveco necessita di un salto dimensionale che potrebbe preludere a una fusione, altrimenti sarebbe ipotizzabile una cessione.
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Se queste sono le prospettive che chiariscono il senso industriale alcuni numeri aiutano a comprendere come i mercati stiano accogliendo l’operazione. Quella che sarà la nuova Fiat auto è una società che negli ultimi dieci anni cumulativamente ha registrato un miliardo di “trading profit”, la nuova Fiat industrial (Iveco e Cnh) nello stesso periodo ha registrato quasi il decuplo dei risultati (circa 9 miliardi).
Non solo, il primo misero risultato è arrivato con un rischio decisamente maggiore dato che il rapporto tra investimenti e ricavi è in media del 10% per l’auto, mentre è la metà per Fiat Industrial nel suo complesso. Da un punto di vista meramente finanziario solo il fatto di separare due attività così diverse crea valore; la somma delle due società post spin-off sarà superiore al valore del giorno prima; certe regole “di buon senso” in finanza sembrano eterne.
A validare questa apparente stranezza c’è un’altra spiegazione. Se, come accaduto in passato, la “società auto” registra una perdita e l’altra un utile i due risultati si eliderebbero limitando fortemente o addirittura impedendo la distribuzione del dividendo; dopo lo spin-off la probabilità per gli azionisti (per la grande gioia di Exor e degli Agnelli) di ricevere un dividendo aumenterà notevolmente, visto che sarà del tutto indipendente dal debole business dell’auto. Fiat industrial darà con molto più costanza un dividendo, mentre l’altra solo negli anni buoni; prima gli “anni cattivi” dell’auto erano sufficienti per impedire qualsiasi distribuzione.
Il diavolo però si nasconde nei dettagli. Dopo l’assemblea generale di settembre i creditori avranno 60 giorni per opporsi al progetto; non sarebbe la prima volta che i creditori hanno idee diverse dagli azionisti (la fusione tra Italcementi e Ciments Francais è fallita proprio per l’opposizione di alcuni obbligazionisti americani). Gli obbligazionisti potrebbero obiettare di ritrovarsi alla fine creditori di una società meno solida dopo la separazione dal florido settore di camion e trattori (Iveco e Cnh).
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Escludere però a priori qualsiasi problema è diverso dal ritenerlo probabile; gli advisor sono al lavoro da mesi e siamo certi che Marchionne che lavora al progetto da molto prima del suo annuncio ha pensato all’eventualità e a una contromossa (al limite un dividendo straordinario da Cnh?). Se tutto va liscio nel medio-lungo periodo avremo un player concentrato nel settore auto, con più volumi, esposto al Brasile e agli Stati Uniti e molto meno dipendente economicamente e politicamente dall’Italia; libero di provare a vincere la partita per la propria sopravvivenza e autonomia nel mercato dell’auto globale.
Dall’altra parte una realtà già solida che può pensare a consolidare il proprio futuro “sistemando Iveco”. Tutto è nelle mani di Marchionne che rischia di risolvere definitivamente un problema decennale, quello dell’auto, consegnando agli Agnelli due gruppi, uno solido e uno con buone prospettive, al posto di quello debole e vacillante che conosciamo. Sarà anche per questo che dopo anni di onorato servizio a Torino hanno deciso che con Marchionne bastava John Elkann e non c’era più bisogno di Montezemolo.