Prima dell’attesissimo spin off e dell’ulteriore aumento della quota in Chrysler dall’attuale 20% al 25%, previsto per fine anno, che (molto più il primo che il secondo) cambieranno per sempre il volto di Fiat, è una mezza anticipazione del quotidiano francese La Tribune a far guadagnare spazio alla casa di Torino sulle attuali vuotissime scrivanie degli investitori.
L’anticipazione è veramente mezza, perché i dati sulle immatricolazioni europee a luglio sono la somma dei dati dei singoli Paesi che erano già noti, ma osservarli nel suo complesso ha il grande merito di restituire una visione completa della situazione.
In Europa le immatricolazioni di auto sono calate del 16% rispetto a luglio del 2009, Fiat dovrebbe aver registrato un calo quasi doppio del 30%. Tra le spiegazioni possibili potrebbe esserci la scelta di non lanciare nuovi modelli in un periodo che di certo non si segnala per la grande propensione all’acquisto dei consumatori, per tenersi le munizioni per un periodo di maggiore salute macroeconomica; una scelta opposta a quella di Peugeot che con i nuovi modelli sta facendo soffrire ulteriormente i concorrenti.
Questa spiegazione conta probabilmente per meno del 50% di questa performance poco brillante. La ragione principale è rintracciabile nella presenza geografica di Fiat, dato che in Italia le immatricolazioni sono calate a luglio del 25% e in Germania del 28% (peraltro in entrambi i Paesi Fiat ha fatto peggio del mercato). I dati di luglio del gruppo Fiat verranno come al solito controbilanciati dal Brasile, ma per quanto buoni non saranno sufficienti a salvare il mese.
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Questi dati diventano ancora più importanti se paragonati a quelli registrati dal mercato cinese in generale e da alcune società che vi operano in particolare. La Cina con il suo +13,6% di immatricolazioni nel mese di luglio ha fatto registrare il “peggiore” dato degli ultimi sedici mesi, mentre Audi e Bmw hanno fatto segnare rispettivamente un +53% e un +82%. Il confronto rende perfettamente l’idea di quale sia stato un fattore chiave per le imprese dall’inizio della crisi.
In moltissimi settori è stata la presenza geografica a determinare i successi o gli insuccessi delle imprese, in un certo senso a prescindere dai prodotti venduti. Il mondo si è mosso e si sta muovendo a due velocità, quella dei Paesi maturi e quella dei Paesi emergenti. Chi ha saputo entrare in quelli giusti per tempo ha potuto affrontare la crisi con problemi infinitamente inferiori. Audi e Bmw oggi si godono il desiderio della nuova classe di borghesi cinesi di comprare auto europee di alta gamma, mentre General motors, seppure con una gamma inferiore, si gode lo sterminato mercato cinese.
Evidenziamo questi dati non per battere sul tasto abusato della dinamicità dei Paesi emergenti e della Cina, ma perché spiegano la fermissima volontà di Fiat di aumentare i volumi venduti con Chrysler e di rendere sempre più efficiente la propria struttura produttiva in Europa. La presenza geografica è probabilmente una delle caratteristiche più difficili da cambiare per un’impresa industriale, tanto più se ad alta intensità di capitale come quella dell’auto; questo vuol dire che se mai Fiat decidesse di entrare ex novo in un nuovo mercato potrebbe farlo solo con un enorme sforzo finanziario dagli esiti incertissimi, dato che dovrebbe affrontare una concorrenza agguerrita.
Lo stesso vale per la gamma prodotti; se Fiat decidesse mai di fare concorrenza a Bmw, Audi e Mercedes sarebbe costretta a investimenti colossali in tecnologia e nuovi modelli che non avrebbero nessuna certezza di successo. La Fiat attuale e futura tolto il Brasile è presente in Europa e negli Usa, Paesi maturi, con una gamma prodotti popolare, dai bassi margini e dalla elevata concorrenza.
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Questo spiega almeno due cose: il fatto che Marchionne da buon manager abbia tra le proprie priorità assolute quella di avere una struttura produttiva iper-efficiente, perché diversamente al primo vento di crisi o al primo modello sbagliato sarebbero guai seri per la società, senza considerare gli impatti sulla competitività di lungo periodo; il secondo è la stasi in cui versa Alfa Romeo sul cui futuro il gruppo Fiat ha steso un velo di mistero, sia per quanto riguarda i nuovi modelli che per i siti che dovrebbero produrli. Il marchio forte è la maledizione della società che rende le aspettative dei consumatori sempre molto elevate mentre Audi, Bmw e Mercedes rimangono irraggiungibili.
Le uniche due opzioni sensate sono rilanciare l’azienda con investimenti colossali togliendo risorse agli altri marchi che avrebbero maggiori chance di successo, un’ipotesi al momento accantonata per le elevate incognite macroeconomiche, oppure vendere a Volkswagen che avrebbe dimensione e soldi per il rilancio, una scelta molto difficile da sostenere dal punto di vista dell’immagine e molto onerosa per il compratore che probabilmente si dovrebbe accollare qualche inefficiente impianto italiano. Nell’indecisione il futuro strategico di Alfa Romeo rimane irrisolto, anche se, sospettiamo, più il tempo passa più aumentano le probabilità che Marchionne ceda alla tentazione di vendere.