Le riflessioni e i commenti sull’uscita di Profumo da Unicredit sono ancora in corso e continueranno ancora per molto, come è giusto e inevitabile che sia per quella che è stata una rivoluzione all’interno del sistema bancario e finanziario italiano. Essendo Unicredit nettamente la più internazionale delle banche italiane e certamente quella più familiare alla finanza anglosassone non ci si può proprio esimere dall’esercizio (mai banale) di cercare di capire cosa sia passato e soprattutto che cosa passi ora per la testa degli investitori.



La parte più facile dell’esercizio riguarda quello che è successo sul mercato martedì e mercoledì. Come noto, l’ufficialità delle dimissioni è arrivata martedì sera a mercati chiusi, ma sinceramente già dalla serata di lunedì non era lecito avere più molti dubbi sulla conclusione del cda del giorno successivo. In ogni caso, ieri tutti si sono dovuti arrendere all’evidenza e ormai possiamo dire che il mero fatto delle dimissioni di Profumo sia già stato metabolizzato dal mercato.



Il titolo non ha di certo “brillato in borsa”, ma tutto sommato l’andamento non è stato di molto inferiore a quello del resto delle banche italiane; Unicredit ha perso qualche punto percentuale, sintomo con ogni probabilità più delle preoccupazioni sul successore e sulla lunghezza del periodo di interregno che della disperazione per la perdita del più “londinese” dei banchieri italiani. Il fatto è meno scontato di quanto possa sembrare.

Profumo è senza alcun dubbio il creatore e l’”inventore” della Unicredit che conosciamo; un’anomalia assoluta nel panorama delle banche italiane, la cui stessa fisiognomia sarebbe completamente inconcepibile se si prescindesse dall’ad che l’ha guidata per 15 anni. Non c’è nessun’altra banca italiana in cui l’impronta dell’ad sia lontanamente paragonabile a quella che ha lasciato Profumo su Unicredit.



Molti hanno giustamente discusso sul modello poco italiano e molto anglosassone di Unicredit, rimane il fatto che oggi sia la banca più internazionalizzata della penisola (fatto raro tra le multinazionali italiane) e che le partecipazioni in Germania e nell’Europa dell’est (in primis in Polonia) le consentano oggi di essere protagonista nelle aree più dinamiche e prospere d’Europa.

Vale la pena sottolineare questo perché il primo dato di questi giorni è che Unicredit in borsa non ha perso i pezzi come sarebbe certamente successo se queste dimissioni fossero arrivate due anni fa; per rendere l’idea di cosa sarebbe successo si potrebbe pensare a cosa accadrebbe a Fiat oggi in caso di dimissioni di Marchionne.

PER CONTINUARE A LEGGERE L’ARTICOLO CLICCA IL PULSANTE >> QUI SOTTO

Il primo punto è quindi che molti investitori non erano più così affezionati a Profumo. Non stiamo parlando né dei tedeschi, né delle fondazioni. Le vicende dell’autunno del 2008, con l’aumento di capitale prima smentito e poi finalizzato, e i risultati per molti deludenti di questi primi sei mesi di “ripresa” hanno evidentemente raffreddato di molto le simpatie del mercato nei confronti dell’ad. La lex column del Financial Times di ieri sembra confermare questa sostanziale indifferenza del mercato.

 

La performance di martedì e mercoledì e la debolezza che probabilmente vedremo anche nei prossimi giorni è invece legata all’incertezza sulla scelta del prossimo amministratore delegato. Unicredit è un gruppo europeo complesso che opera in 22 Paesi e con un azionariato molto variegato. Di Profumo gli investitori conoscevano le idee e le strategie, mentre ora non si conosce né il nome del prossimo ad, né il tempo che sarà necessario per nominarlo.

 

I due elementi di incertezza non sono di poco conto visti, nel secondo caso, i tempi difficili che corrono e soprattutto visti i dubbi che cominceranno ad affollare le analisi degli investitori. Fino a lunedì era molto chiaro cosa si comprava e quale strategia c’era, oggi è tutto molto più incerto. Cosa deciderà il nuovo ad delle partecipate estere, dell’asset management del gruppo, o della cessionedi Mcc? Quanto peseranno le fondazioni d’ora in poi? I libici cosa pretenderanno in termini di governance? Queste sono solo alcune delle domande a cui ora nessuno sa rispondere, senza considerare se alla fine il mercato riterrà il nuovo ad all’altezza della situazione.

 

Il mercato ha archiviato le dimissioni ed è concentrato sul futuro della banca: un atteggiamento estremamente ragionevole e di buon senso. Negli ultimi due anni il mondo finanziario è cambiato radicalmente e le sfide che occorre affrontare sono molte e complicate; in questa situazione è in discussione il futuro della più internazionale delle banche italiane con una presenza importantissima in alcune delle regioni più dinamiche d’Italia.

 

In altre parole, molte persone e una parte fondamentale del sistema produttivo italiano subiranno gli effetti di quello che si deciderà nei prossimi mesi. Se mai qualcuno aveva avuto dei dubbi, i fatti degli ultimi due anni hanno insegnato che il sistema bancario e il modo di gestire le banche non sono indifferenti per l’economia di un Paese.

 

PER CONTINUARE A LEGGERE L’ARTICOLO CLICCA IL PULSANTE >> QUI SOTTO

Probabilmente bastano la legge della domanda e offerta per produrre il risultato finanziario migliore per tutti oppure servono ancora azionisti di “sistema” di lungo periodo legati al territorio. Giusto per fare un esempio, la lex column di ieri del Financial Times definiva le fondazioni “an important regional part of Italy’s complex and controlling political-economic sistema” che non è che suoni proprio come un complimento; poi ci sarebbe il ruolo degli azionisti tedeschi e della Libia.

 

È molto facile che l’ad e l’azionariato di domani decideranno l’Unicredit di domani e in un certo senso anche il sistema bancario italiano di domani. Potrà accadere tutto e si potrà scegliere tutto, basta che sia chiaro a tutti che il momento è cruciale.