Dopo l’approvazione dell’assemblea degli azionisti la strada verso l’effettivo spin-off di Fiat ormai è segnata anche se bisognerà attendere fino a gennaio per avere due azioni distinte; nonostante tre mesi di tempo e una stasi abbastanza preoccupante sui mercati, Fiat rimane costantemente al centro delle speculazioni e delle ipotesi più intriganti. Settimana scorsa La Repubblica ha lanciato sul mercato la “bomba” di un’offerta di Daimler per Fiat industrial (CNH più Iveco) da ben 9 miliardi di euro contro un’ipotetica richiesta di Exor di 10,5 miliardi. L’offerta sarebbe prevista successivamente alla quotazione e Fiat userebbe i soldi per investire nel settore auto.
Il Corriere della Sera ha aggiunto poi benzina sul fuoco ipotizzando la cessione di una quota di Ferrari (con una quotazione che valuterebbe il 100% della società poco più di tre miliardi di dollari) con cui Fiat avrebbe intenzione di aumentare la partecipazione in Chrysler. Del primo rumor l’unico elemento che avrebbe qualche senso è il prezzo richiesto per Fiat industrial, dato che il resto sembra abbastanza confuso e poco chiaro. Innanzitutto se l’offerta arrivasse dopo la quotazione, come ipotizzato, a Fiat auto non arriverebbe direttamente un singolo cent.
Poi ci sarebbe la piccolissima questione relativa all’antitrust europeo dato che Daimler è il primo produttore mondiale di camion e Iveco uno dei primi cinque. Infine l’ipotesi sembrerebbe senza molto senso industriale e finanziario perché disinvestire da un settore con profitti stabili per investire nell’auto sarebbe contro ogni buon senso. L’ultima è decisamente l’obiezione più credibile dato che nessuno crede nella “ingenuità finanziaria” di Marchionne e della famiglia Agnelli.
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Il secondo rumor ha molti meno punti deboli. La Ferrari è una società ottima e Fiat potrebbe ottenere un prezzo pieno per un campione quasi senza rivali del lusso made in Italy; ma soprattutto se Marchionne, come pare, crede veramente nelle potenzialità di Chrysler sarebbe un ottimo modo per accorciare i tempi dell’aumento della partecipazione di Fiat nella casa automobilistica americana.
Al di là delle smentite o delle conferme che potranno arrivare nelle prossime settimane il solo e mero fatto che a più di tre mesi dallo spin-off comincino a circolare queste ipotesi dovrebbe far riflettere attentamente. Il gruppo Fiat, qualsiasi sarà il suo destino, ha enormemente aumentato la propria flessibilità strategica; prima due settori con logiche molto diverse convivevano con difficoltà nella stessa società. Intanto ogni buon libro di finanza insegna che business diversi hanno più valore in società diverse; in secondo luogo qualsiasi operazione di fusione che contempli l’emissione o lo scambio di azioni è molto più facilmente realizzabile se le società sono simili e comparabili (“auto con auto” “non auto con non auto”).
È importante ribadire questo concetto perché Marchionne ha ripetuto per un anno che né Fiat auto né Iveco hanno le dimensioni necessarie per poter competere efficacemente nel lungo periodo. Chrysler in questo momento rappresenta il vero asso nella manica di Fiat; la società è stata ristrutturata e presidia uno dei mercati più importanti del mondo e con un po’ di crescita vera difficilmente potrà arrivare qualcosa che non sia più che buono; eppure per arrivare ai sei milioni di auto prodotte all’anno manca ancora un pezzo. La stessa Iveco deve diventare più grande o essere assorbita.
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In questo senso lo spin-off sembra decisamente più un punto di partenza che un punto di arrivo. Questa idea non è ancora stata del tutto metabolizzata, ma è già molto chiara agli investitori più lucidi (tutti in ogni caso sensibilissimi al tema Fiat). La prova del nove sono i rumor di cui sopra. Scommettiamo che difficilmente queste ipotesi si sarebbero fatte strada sulle pagine dei giornali sei mesi fa.
Se lo spin-off è un punto di partenza per ulteriori aggregazioni e metamorfosi industriali allora si può arrivare facilmente a un’altra “conclusione”. Il mercato italiano, per banali motivi matematici, peserà molto meno per Fiat dopo la fusione con Chrysler; altre operazioni non farebbero che far procedere Fiat verso una maggiore indipendenza dalle sorti economiche, sociali e sindacali italiane.
Essere esposti a più Paesi e non essere eccessivamente dipendenti da uno in particolare è un fattore positivo nel medio lungo periodo soprattutto se ci si svincola da un mercato maturo, competitivo che finora ha mostrato tassi di crescita inferiori alla media europea. Fiat insomma sembra si voglia guadagnare un futuro industriale più solido e perché no anche maggiore flessibilità e libertà dalle vicende italiche. Meglio abituarsi subito all’idea (peraltro molto poco peregrina) che scoprirlo, rimanendoci magari con l’amaro in bocca, a cose fatte.