Alzi la mano chi si ricorda di Parmalat, della vicenda che ha occupato i giornali e i telegiornali per settimane e mesi e che poi si è conclusa con l’Opa di Lactalis sulla società di Collecchio a 2,6 euro per azione? Il gruppo francese saliva alla fine all’83,3% della società spendendo la non trascurabile cifra di 2,5 miliardi di euro.



In apparenza può sembrare persino naif parlare di una società così da “old-economy” quando ormai anche al mercato rionale si sente più parlare di spread e derivati che di patate e pomodori (il che per la cronaca, per chi se lo stesse chiedendo, non è un bel segnale). Gli ultimi sussulti sono stati il rumour, poi prontamente smentito, uscito questa settimana di cessione della controllata Santal e l’accentramento della gestione della liquidità del gruppo in capo a una società di diritto francese annunciato ieri; nel frattempo niente di nuovo. Tra l’altro, giusto per inciso, nello stesso periodo, prima che arrivasse agosto e con lui il tracollo dei mercati, ci si interrogava sull’acquisizione di Bulgari da parte di Lvmh e in generale sulla strategia “industriale” dell’Italia; poi più niente.



Sarà un certo animo da bastian contrario di chi scrive oppure la noia per i commenti all’ennesima giornata “strana” della borsa che ti fanno venir voglia di passare direttamente allo sport dopo le prime due righe (per gli interisti è più difficile, ma c’è sempre un altro sport a cui aggrapparsi), però è proprio così certo che in questa fase di turbolenza finanziaria sia il caso di dimenticarsi per strada le imprese industriali, soprattutto di quelle che producono e danno lavoro in Italia? Forse forse è vero il contrario.

Il punto della situazione su Parmalat sarebbe questo: Lactalis ha speso 2,5 miliardi di euro pagando quasi il 70% in più di quello che vale il titolo oggi (2,6 euro per azione sugli attuali 1,6 scarsi); è un conto finto e non vuol dire niente, c’è di mezzo la crisi eccetera eccetera, però con un po’di matematica delle elementari salta fuori che Lactalis s’è persa per strada un miliardo di euro, che non è proprio un numero che non si nota, almeno a queste latitudini.



Ai tempi dell’Opa, il prezzo pagato da Lactalis sembrava già molto eccessivo rispetto al valore che tutti davano a Parmalat e, soprattutto, rispetto alle poche sinergie industriali che l’operazione avrebbe potuto e può generare. Dal punto di vista finanziario e anche industriale, l’incognita su Parmalat era ed è l’uso che la società farà del miliardo di euro di cassa che ha in pancia (derivata in gran parte tra l’altro dalle azioni legali intentate contro le banche dopo il crack); una cassa che la società non può distribuire ai soci con un jumbo-dividend per via di limiti statutari veramente difficili da aggirare.

Non serve essere dei geni dell’economia per capire che questa cassa oggi è molto più “preziosa” di sei mesi fa e, soprattutto, che oggi le occasioni di acquisto sono molte di più e molto più convenienti. Se il tema della cassa di Parmalat era decisivo per la società (e per chi ci lavora e per il distretto, ecc.) sei mesi fa oggi lo è certamente di più perchè con quei soldi si potrebbe chiudere un’operazione industriale molto più rilevante. Il problema è che quella cassa è diventata molto più “preziosa” anche per chi si è comprato la società sei mesi fa; ricordiamo che nel prospetto informativo dell’Opa di Lactalis su Parmalat veniva specificato che: a) in caso di raggiungimento del 100% delle azioni il rapportodebito netto/reddito operativo del gruppo sarebbe stato superiore a 4 (di norma oltre i 3 iniziano i problemi) e che b) “Lactalis valuterà l’opportunità di far confluire in Parmalat le proprie attività nel settore del latte confezionato” e che “si riserva di valutare l’opportunità di procedere a fusioni tra società italiane facenti capo ai gruppi di appartenenza dell’Offerente e dell’Emittente o altre operazioni straordinarie”.

La vera questione su Parmalat ora è a chi convenga veramente l’acquisizione da parte di quest’ultima di società del gruppo Lactalis e, soprattutto, a che prezzo, magari un po’ troppo alto coi soldi di Parmalat, visto che Lactalis con l’83% può decidere abbastanza liberamente. Per essere ancora più chiari la domanda è se in tutto questo ci guadagni solo Lactalis oppure no. Essere ottimisti sull’esito di questo processo (anche se dipende da che lato si guarda alla vicenda) al momento è abbastanza sconsigliato.

L’ultima nota, di cui è probabile si potrà parlare ancora (e quindi non ci dilunghiamo), è che le quotazioni di molte società italiane, comprese alcune strategiche (banche, energia, ecc.), appaiono particolarmente attraenti in un’ottica di lungo periodo se l’area euro dovesse rimanere in piedi. Se per caso venissero meno alcune delle principali preoccupazioni attuali, tra cui appunto la tenuta dell’euro, il listino italiano apparirebbe particolarmente “interessante”. Meglio saperlo subito e prepararsi all’eventualità piuttosto che gridare allo scandalo dopo di fronte all’ennesimo “scippo”.