La cronaca spiccia della giornata borsistico-finanziaria di ieri si può riassumere in due numeri: il mercato italiano ha perso il 3,8% e lo spread Btp-Bund si è riportato ai massimi superando i 410 punti base. Il primo dato rientra di diritto nell’ormai lunghissima teoria di rialzi o ribassi violenti, molti senza troppo senso, cui il mercato ci ha abituato nelle ultime settimane e che occorre guardare con molto distacco e disincanto per non perdere di vista le cose che contano. Il secondo numero è quello che conta davvero e che misura veramente lo stato della situazione (il decennale italiano nel frattempo rende più del 6%). Oggi il mercato può salire o scendere (diffidare di chi vende certezze di così breve termine in questa fase è un obbligo), ma lo spread continuerà a segnare valori più che preoccupanti.



Il termine preoccupante non è messo lì per caso. Non c’è solo il problema degli extra-costi che lo Stato italiano deve pagare ai dententori del proprio debito per invogliare i compratori che a parità di rendimento si rivolgerebbero a stati più sicuri; maggiori costi che si traducono in soldi sprecati e più utilmente impiegabili per costruire, per esempio, ponti e strade. Il problema che aleggia sull’Italia in modo più sinistro che per gli altri paesi europei è il credit crunch e i costi che subirà l’economia reale italiana. Ieri Bazoli dichiarava che il rischio credit crunch è ineluttabile se l’Italia continua a incontrare difficoltà nelle aste dei titoli di Stato. Se lo Stato italiano deve pagare più del 6% su bond decennale non si può pensare che una banca italiana possa pagare di meno per finanziarsi e che per forza di cose faccia a sua volta pagare di più ai propri clienti (che magari sono in concorrenza con un tedesco). Se il costo del finanziamento si alza per le banche e i bond statali devono essere svalutati, le banche per evitare aumenti di capitale devono diminuire i crediti all’economia. Non è una questione di cattiveria, ma di sopravvivenza. Sempre Bazoli ieri esplicitava uno dei corollari di questa situazione: se le banche italiane devono ricapitalizzarsi e non possono essere aiutate per ovvi motivi dallo Stato italiano si corre il rischio di interventi importanti di gruppi stranieri (negli aumenti di capitale) che per pochi euro si potrebbero portare via a prezzi di stra-saldo il controllo di alcune delle principali banche italiane.



Più il mercato, a torto o ragione, in buona o cattiva fede, picchia sull’Italia più si corre il rischio che l’economia reale, imprese e famiglie, venga irreparabilmente danneggiata (e sta già accadendo); se l’economia reale soccombe ripagare il debito diventa ancora più difficile alimentando ulteriore timori per gli investitori. È un circolo vizioso che al momento non si vede da chi o cosa possa essere rotto e che, immaginiamo, sia irresistibile per chiunque voglia scommettere e fare soldi contro l’Italia.

Il problema dell’Italia passa poi all’Europa via euro e via banche europee detentrici dei debiti dei paesi periferici e via minore crescita, nel caso dell’Italia, di un Paese di 60 milioni di abitanti. I problemi dell’Europa, per chiudere il discorso, sono poi un problema rilevante per l’economia e la finanza mondiale come esemplificato dal fallimento della società finanziaria americana MF Global Holdings esposta a titoli di stato italiani e spagnoli.



Le decisioni prese settimana scorsa dai leader europei devono ancora essere attuate e già si discute della loro reale efficacia e delle controindicazioni, mentre nel frattempo i problemi si aggravano e si aspetta come nuovo momento risolutore il G-20. Ogni giorno che passa senza che si ponga rimedio alla soluzione lascia segni sull’economia e allunga i tempi della ripresa. L’Italia in quanto tale oggi può fare molto poco per risolvere i problemi contingenti; qualche mese fa in una situazione ancora non così deteriorata interventi più decisi e condivisi politicamente avrebbero probabilmente sortito più effetti. Oggi, i dati di mercato, sembrano dire che la situazione sia già sfuggita di mano e sia molto meno di prima nelle mani dei soli italiani.

Introdurre nuove tasse, magari patrimoniali, alla lunga non sembra una grande idea come testimonia la vicenda greca. La novità per l’Italia, e non solo, sarebbe consegnare al mercato dati più incoraggianti di quanto mostrato negli ultimi anni sulla crescita in una fase in cui non si può stimolare l’economia ricorrendo al debito. La “fortuna” dell’Italia è che finora è riuscita ad andare avanti con molti handicap dalla libertà di fare impresa, fino a una legislazione sul lavoro che risale a un’epoca in cui il sistema economico era completamente diverso. Il contesto economico può vanificare molte riforme, buone, che l’Italia potrebbe fare; non farle per questo motivo non è però una grande giustificazione.