Se lo spread Btp-Bund è l’indice scelto per misurare la bontà di un governo o di un Presidente del consiglio e se la misura è un tribunale senza appello e attenuanti, crisi sistemiche o contesto sociale che siano, allora oggi dovremmo concludere che bisogna trovare un altro Presidente del consiglio perché nemmeno Mario Monti sta mettendo al riparo l’Italia dalla tempesta finanziaria. Ieri, l’ormai leggendario spread Btp-Bund ha toccato il minimo di giornata poco dopo le 10:00 a circa 455 punti base, per poi risalire in area 500 a fine giornata (495 per l’esattezza). Ricordiamo, per chi se ne fosse dimenticato, che ci si stracciava le vesti in area 400 quando, a ragione, si levavano grida disperate dal sistema bancario e che il giorno delle dimissioni (sostanziali ma non ancora formali) di Berlusconi lo spread aveva chiuso esattamente in area 500; in pratica, da un punto di vista strettamente finanziario, il giudizio del mercato sull’Italia non è cambiato e viene oggi percepito lo stesso livello di rischio di una settimana fa. Bisognerebbe forse trovare una figura con un profilo ancora più elevato e in grado di rassicurare i mercati e nominarlo seduta stante nuovo Presidente, ma anche in questo caso sarebbe con ogni probabilità un’illusione. Evidentemente la soluzione non è fare di Monti il più clamoroso caso di baby pensionato della storia italiana, pensionandolo da Presidente del consiglio a tempo di record, nè cercare, sempre ammesso che esista, qualcuno che di colpo riesca a convincere i mercati (“più di Monti” ci viene in mente solo Draghi). A questo punto si fa strada l’impressione che la speranza per le capacità taumaturgiche del governo Monti si sia basata su una serie di equivoci, su alcune dimenticanze o sviste “involontarie”.
Il primo equivoco, forse il più importante e dimenticato, è che per giorni e poi settimane l’unico problema economico-finanziario europeo e globale è sembrato l’Italia e il suo governo. Il contesto in cui l’Italia è finita nel mirino è maturato su timori di recessione o sensibile rallentamento della crescita globale, su preoccupazioni per il sistema finanziario globale, sulla tenuta dell’economia americana; a fine luglio, giusto per rendere l’idea, si parlava di downgrade del debito americano e di un suo default. Anche il migliore dei governi possibili si sarebbe trovato in una situazione estremamente complicata in cui si dovevano attuare riforme e tagli molto “scomodi”. Per un po’ ci si è dimenticati dei problemi dell’economia americana o cinese, dei risultati e dei bilanci di alcune delle principali istituzioni finanziarie internazionali. Anche se l’Italia oggi rimane un problema importante nell’area euro non è nemmeno lontanamente ipotizzabile che un cambio del Presidente del consiglio, per quanto opportuno e azzeccato, risolva la situazione internazionale. Chi si è dimenticato di questi piccoli dettagli da oggi deve ricominciare a considerare la realtà “fuori dall’Italia”.
Quando una società quotata perde credibilità o quando per i motivi più disparati presenta qualche debolezza strutturale, i mercati non si accontentano degli annunci per quanto bravo e stimato possa essere il nuovo Amministratore delegato che li fa. Tanto più in una situazione oggettivamente grave il mercato oggi ha bisogno di vedere e toccare con mano i miglioramenti dell’Italia che richiedono inevitabilmente tempo, soprattutto se le sorti nostrane non sono unicamente in mano a chi dai prossimi giorni dovrà decidere come affrontare la crisi. Supponiamo che persino Monti avrà bisogno di tempo per decidere cosa e come fare e che avrà qualche problema nel raggiungere risultati nel breve periodo in una fase in cui la crescita economica non potrà essere d’aiuto; escludiamo ovviamente possibili errori, ma crediamo che questa clemenza non sia condivisa da tutto il mercato, che in ogni caso, prima di comprare a scatola chiusa, vorrà vedere quali saranno alla fine queste riforme e tagli.
Ieri Monti dichiarava che occorre fare “molti sacrifici”; supponiamo che questi “molti sacrifici” siano quelli che non sono stati chiesti dal governo precedente e la cui mancata attuazione ha contribuito a portare spread e amenità varie oltre i livelli di guardia. Non è facile immaginare il clima con cui verranno accolte le riforme, le liberalizzazioni e i tagli ed è ancora più difficile stimare cosa ne sarà del consenso quasi plebiscitario con cui questo nuovo governo è stato invocato quando le proposte verranno scritte. Se e quando si parlerà di riforma delle pensioni e dell’articolo 18, sforbiciate varie ed eventuali, magari imposte patrimoniali, tagli nell’amministrazione pubblica non tutti potrebbero essere d’accordo o così docili come sembra ora con tutte le spiacevoli conseguenze del caso.
Il nuovo governo verrà nominato per fare “quello che occorre fare” in questa situazione; in particolare, quello che occorre fare è convincere i mercati, ridurre il debito e se possibile favorire un po’ più di crescita. Il punto più importante ora sembra il primo; per convincere i mercati e l’Europa bisogna almeno all’inizio fare quello che chiedono i mercati e l’Europa. Da questo punto di vista non ci sono molti margini di manovra. Per capire quello che è successo ieri, spread a 500, ci sono due spiegazioni possibili: il mercato vuole vedere il nuovo governo e le riforme urgenti approvate e finchè non vede non crede; oppure che si stia già preoccupando del dopo, della capacità di questo governo di rilanciare la crescita nel medio lungo periodo in un contesto che rimane difficile e della capacità del “sistema” politico italiano di impegnarsi per questo obiettivo che non è misurabile nei prossimi tre mesi.
Se ci si è preoccupati della reazione del mercato all’inizio quando si trattava delle riforme urgenti, non si capisce perché si debba smettere di “preoccuparsi” oggi quando nonostante la “liberazione” da Berlusconi lo spread rimane testardamente fisso a 500. Se il mercato ha sempre ragione quando chiede un nuovo governo allora probabilmente ha ragione anche oggi quando si preoccupa nonostante il nuovo governo; i delusi se la prendano con chi ha sostenuto che bastavano solo le dimissioni.