Non è più nemmeno il caso di ribadire che lo sperato effetto Monti sui mercati e sullo spread Btp-Bund non si è mai visto e che a questo punto è abbastanza lecito dubitare si vedrà mai. Il primo giorno di mercato aperto dopo la fiducia alla Camera ha visto lo spread rimanere ostinatamente in area 500 e il mercato italiano calare di un rotondo 4,74%. I pochi “giapponesi” rimasti a teorizzare i 150 punti di spread in meno per il solo cambio del Presidente del consiglio possono forse aggrapparsi alla tesi del tempo necessario per definire e poi approvare le riforme, ma a questo punto dovrebbe fornire qualche altra spiegazione. È ormai evidente che l’italia era ed è solo una, piccola, parte dei problemi con la Germania che ieri ha chiuso al -3,35% e la Francia al -3,41% dopo una giornata iniziata con l’avvertimento di Moody’s che arrivava all’incredibile conclusione che la persistenza di elevati costi di raccolta per la Francia potrebbe avere implicazioni negative sul credito.
La prima domanda che occorrerebbe porsi è come mai da mercoledì scorso il Bund abbia cominciato a mostrare qualche timido ma inequivocabile segnale di nervosismo, visto che lo spread nei confronti dei treasury americani, pur con tutte le cautele del caso, si è allargato di 15 “singolarissimi” punti, mentre il differenziale tra rendimento di titoli di stato francesi e tedeschi ha raggiunto il massimo storico. Un’altra stranezza è come mai il tasso di cambio euro-dollaro sia ancora ampiamente sopra la parità nonostante almeno un Paese fondamentale per l’area euro, l’Italia, più un nutrito numero di altri stati europei (Grecia, Irlanda, Spagna e Portogallo) siano o falliti o abbondamente oltre la soglia dell’allarme rosso.
A questo punto rimane aperta la questione della crescita-recessione per il 2012 ed evidentemente una questione dell’area euro che non riesce a risolvere i propri problemi nonostante il suo bilancio statale aggregato sarebbe migliore dei corrispettivi americani e giapponesi; in entrambi i casi, il ruolo dell’Italia in quanto tale viene di molto ridimensionato rispetto a come se ne è parlato solo una settimana fa. Sembra passata un’eternità dai mesi in cui l’Italia girava quanto incassato con lo scudo fiscale per fare la propria parte (terzo contributore dopo Germania e Francia) nella prima tranche di aiuti alla Grecia. Dal problema greco oggi si è passati al problema euro e ciò che è evidente è che l’Europa non è stata in grado di risolvere in modo pronto ed efficace problemi al cui confronto quelli di oggi appaiono inezie.
Lasciamo volentieri ad altri i dibattiti sulla volontarietà, malafede e quant’altro su quanto sta succedendo all’Europa, ma rimane il fatto che chi dalla vicenda greca ha scommesso contro la capacità dell’Europa di sistemare i propri problemi non solo ha avuto ragione all’inizio, ma ha avuto poi una serie piuttosto convincente di controprove fino al punto in cui persino la Francia sta cominciando a soffrire. Al di là dei timori di recessione, che non è proprio un’inezia, oggi il mercato sta oltre ogni evidenza sollevando dubbi sulla sopravvivenza dell’euro così come lo conosciamo; ipotizzare anche “solo” un 10% di haircut sul debito italiano significa mettere in ginocchio le banche italiane e dare vita a un nuovo giro di contagio, questa volta probabilmente mortale, all’Europa. Per la cronaca con lo spread a 485 il rischio credit crunch per l’Italia smette di essere tale, nel senso che diventa una certezza, con tutte le molto spiacevoli conseguenze del caso.
Il duo franco-tedesco che ha prodotto le regole dell’Eba per cui un titolo tossico è meno rischioso di un bond statale diventa di giorno in giorno sempre meno solido. Il fondo europeo salva-stati non è mai partito, perchè in attesa che le condizioni del credito migliorino (ma nel frattempo sono solo peggiorate) e per gli Eurobond sono ipotizzabili tempi tecnici non brevi; l’unica istituzione in grado da subito di mettere in campo qualche soluzione è la Bce, ma i tedeschi si oppongono a un suo uso “improprio” e a stampare nuova moneta, nel frattempo la situazione si avvita (niente di nuovo sotto il sole da 18 mesi).
Il punto è che la Francia sta molto più dalla parte dei paesi mediterranei che da quella di Germania e Nord-Europa su questa particolare e capitale vicenda. Più la situazione peggiora, più la data della decisione finale si avvicina. La decisione finale sarà della Germania che dovrà decidere se salvare l’euro così com’è pagando in prima persona oppure se alla fine tirarsi fuori dalla moneta unica in un modo o nell’altro; la Francia a questo punto deciderebbe probabilmente, sempre ammesso che possa, di non stare con la Germania. Sembra fantafinanza, ma dopo giornate come quella di ieri la fantafinanza diventa sempre più possibile, soprattutto rileggendo la storia dell’eurozona, non esattamente edificante, dalla crisi greca in poi.
È evidente che se questa è una delle ipotesi in discussione, e pare proprio il caso, fare previsioni diventa piuttosto complicato, perché tutti si muovono in uno scenario estremamente volatile e in un terreno sconosciuto; ovviamente decidere di acquistare azioni o bond in questa fase è praticamente impossibile. Per avere qualche indicazione in più sull’esito finale ci si dovrebbe forse chiedere quali siano i pro e contro delle Germania nelle due ipotesi; il fatto che siamo arrivati a questo punto dopo tentennamenti e indecisioni varie fa pensare che entrambe le opzioni siano sul tavolo.