La giornata di ieri ci ha consegnato, a mercati chiusi, le dimissioni del primo ministro italiano, che saranno presentate, pare, dopo l’approvazione della legge di stabilità. È molto difficile dire con certezza cosa stesse scontando il mercato e quale opinione avesse sull’esito finale delle vicende politiche italiane; la sensazione è che sia lunedì che ieri il mercato non abbia preso alcuna scommessa “vera” sull’Italia, in attesa, come tutti, di vedere cosa sarebbe successo e conscio che prevedere l’esito finale fosse praticamente impossibile. Oggi il mercato si esprimerà sull’unica attuale certezza delle dimissioni di Berlusconi. Prima di qualsiasi argomento, ragione, e anche di una necessaria mini-storia degli eventi che ci hanno portato a questo punto (spread Btp-Bund a 490 punti base, rendimento dei titoli di stato decennali al 6,5% e sistema bancario sull’orlo del credit crunch) anticipiamo che i fatti di ieri non sembrano poter risolvere definitivamente nulla e che la situazione nel day after non ha meno incognite e criticità di quelle del giorno prima.
Sui fatti di ieri verranno scritti chilometri di articoli, noi ci permettiamo di sottolineare alcune verità che verranno, con ogni probabilità, annegate nel mare infinito delle opinioni e delle analisi. La prima è che i problemi che ha oggi l’Italia non sono iniziati con Berlusconi e non finiranno con Berlusconi. È vero che per sei mesi, di fronte all’aggravarsi della crisi, il governo è stato incapace di approvare tagli e riforme sostanziali che instillassero quanto meno qualche dubbio ai “detrattori” dell’Italia, ma ricordiamo che la riforma delle pensioni non è passata per l’opposizione della Lega (non l’unica forza politica contraria ci sembra) e che le misure cui l’Italia è stata obbligata dall’Unione europea saranno oggetto di uno sciopero generale.
Berlusconi ha avuto ovvi e evidenti problemi di credibilità personale dopo intercettazioni varie, ma siamo molto curiosi di vedere cosa direbbero i lettori del Financial Times, oggi citato a sproposito come unica voce indipendente (quanta ingenuità o malafede in questo mondo), se le idee economiche-finanziarie di Vendola (pare parte imprescindibile dell’alternativa a Berlusconi) venissero tradotte e spiattellate in prima pagina sul quotidiano economico piu importante d’Europa: per qualche corrispondente estero in Italia siamo un Paese africano, ma dopo questa traduzione forse ci sposterebbero in America Latina (diciamo dalle parti di Chavez). Ieri Berlusconi è uscito di scena, ma l’opposizione non sembra esattamente coesa e a prova di scossoni finanziari o recessioni.
La seconda verità è che i mercati si sono convinti, a ragione, che questo governo non era in grado di approvare le riforme necessarie. Non si capisce in base a quale atto di fede il mercato debba ora fare una scommessa alla cieca senza avere ancora chiare le idee, come tutti noi poveri mortali, su quale sarà il futuro politico italiano tra governi tecnici di varia estrazione, colore e durata, elezioni anticipate o meno, leggi elettorali cambiate o no. La situazione precedente sicuramente “non andava bene” e questo solo fatto legittima qualche speranza, ma le certezze e la credibilità, soprattutto sui mercati, si costruiscono con molti risultati buoni di fila, non certo in una giornata per quanto fausta.
La terza verità è che accampare scuse è l’attività preferita dai perdenti e per questo nelle ultime settimane valeva la pena mettere l’accento sulle colpe oggettive dell’Italia e del governo. Evitare di accampare scuse per gli errori non implica che i problemi economici e finanziari non siano, ci sembra, solo “italiani” e che è in atto una crisi globale piuttosto grave e complicata; ci risulta, tra l’altro, che Lehman Brothers fosse americana e che le banche francesi e tedesche (qualcuno solo a titolo di esempio vuole spulciare i bilanci di SocGen o di Deutsche Bank?) siano appunto francesi e tedesche. C’è davvero qualcuno sul globo terracqueo che nelle nuove regole dell’Eba per le banche europee non vede un’evidente, ingiusta e clamorosa disparità di trattamento verso le noiose e da old-economy (ma sicure) banche italiane? O c’è qualcuno che crede veramente che i fondamentali dell’economia spagnola siano migliori di quelli italiani?
Pensare che il mercato e i nostri parner europei siano una banda di buoni samaritani preoccupati in modo disinteressato delle sorti italiane è un errore clamoroso. Chi tra gli investitori che “speculano” o tra i nostri amici fraterni europei vuole il “male” dell’Italia non cambierà di certo atteggiamento perché Berlusconi si è dimesso. Siamo molto curiosi, ma la parola giusta è pessimisti, di vedere con quale forza politica e di consenso il prossimo governo potrà confrontarsi con i soggettti di cui sopra.
La quarta verità è che un rapporto migliore con “i mercati finanziari” è un bene per tutti, per lo Stato italiano che non deve sprecare ulteriori risorse per pagare gli interessi sul debito, per gli imprenditori e le famiglie che devono ottenere i finanziamenti. Il modo in cui però si ottiene il consenso dei mercati non è neutrale per i cittadini.
Oggi l’Italia, per il livello a cui è arrivato lo spread, non può permettersi molte altre settimane in questa situazione senza dover alla fine pagare un conto pesante in termini di crescita economica. La fase è da pistola puntata alla testa e il prossimo governo, qualunque esso sia, non potrà andare troppo per il sottile per accontentare i mercati. A questo proposito, e prima di accodarci ai cortei di giubilo, ci piacerebbe sapere cosa intenda fare il prossimo governo, ma evidentemente è una domanda a cui ora nessuno può dare una risposta.
Le supposizioni su quanti punti di spread costasse all’Italia il solo fatto di avere Berlusconi come presidente del consiglio si sono sprecate nelle ultime settimane: si va da “almeno 100 punti base” a “200 come minimo”. La curiosità pare possa essere ormai soddisfatta e ci auguriamo che dopo tutto sia vero. Il calo del costo del debito italiano serve a tanti, Germania e Francia incluse, ma ogni singolo punto di spread in meno dovrà essere pagato: questa è una certezza.