Capire quello che accade sui mercati di questi tempi non è esattamente semplicissimo, anche quando i fatti sembrano avere spiegazioni evidenti; per esempio, un mese fa era comunemente accettato che il rialzo pauroso dello spread tra titoli del debito italiani e tedeschi fosse dovuto a Berlusconi, mentre dieci giorni fa diventava granitica la convinzione che l’origine dei mali fosse l’inadeguatezza della governance europea e il disaccordo tra gli stati dell’Unione. Oggi l’ortodossia vuole che la spiegazione sola e unica per il brusco calo dello spread di ieri (da circa 460 di venerdì a 385) siano gli interventi approvati dal Consiglio dei ministri domenica sera. A fasi alterne, ancora non è chiaro perché, l’Italia diventa responsabile dei propri destini o vittima incolpevole di crisi finanziarie e recessioni o dell’egoismo miope di Germania e Francia.



A costo di essere noiosi e in previsione di futuri equivoci è utile ricordare che il mondo e i mercati non iniziano e finiscono in Italia e che, così dicono, la crisi è iniziata in America con il fallimento di Lehman Brothers (lo sappiamo è iniziata prima, ma giusto per semplificare). Smontare o quanto meno avanzare qualche perplessità su una convinzione così ferma non è facile, ma diverse considerazioni aiutano a mettere quanto successo ieri nel giusto contesto. L’Italia è stata colpita perché è un Paese con alcune debolezze strutturali, debito alto e bassa crescita, in un contesto economico di recessione e in una fase in cui l’euro è stato messo in discussione. Da questo punto di visto cos’è cambiato ieri con la manovra di Monti?



Intanto anche lo spread tra titoli spagnoli e tedeschi ieri ha avuto una riduzione equiparabile a quella italiana, ma non ci risulta che nel weekend la Spagna abbia approvato misure straordinarie (per la cronaca, a un certo punto della giornata lo spread calava di una percentuale compresa tra il 16% e il 17% per Italia, Spagna e Francia). Si può obiettare che il miglioramento dell’Italia, per l’importanza che ha nell’area euro, sia sufficiente a risolvere buona parte dei problemi dell’euro stesso; è un’obiezione sensata, ma la dimensione e la velocità del miglioramento di ieri rimangono comunque molto sorprendenti.



Il nuovo governo ha approvato una manovra che contiene elementi che il precedente non avrebbe mai potuto introdurre, come la riforma delle pensioni o la reintroduzione dell’Ici, ma non si è visto qualcosa di “qualitativamente diverso” da quanto introdotto finora in Italia; nessuna riforma strutturale, tagli allo Stato elefantiaco, liberalizzazione delle professioni, modernizzazione del mercato del lavoro, diminuzione delle tasse per le imprese, ecc. Se l’idea era consegnare subito qualcosa di immediatamente tangibile all’Europa, tassando sostanzialmente il ceto medio, allora la missione è compiuta.

Se con questa manovra si è ottenuta una riduzione dello spread significativa e duratura, almeno per qualche mese, allora forse ne è valsa anche la pena, ma l’idea del mercato in questo momento è che in questo modo l’Italia possa essersi assicurata una maggiore benevolenza da parte delle istituzioni europee quando si tratterà di “difendere” l’euro e i costi del debito statale più che una reale convinzione sul miglioramento dell’economia italiana. Lo spettro del default o dell’uscita dall’euro in quest’ottica diventa meno probabile o, se si vuole, meno “attuale” e questo basta per un rimbalzo che arriva comunque dai minimi di sempre della borsa e da una situazione di prefallimento dell’Italia (con lo spread a 550).

Che il mercato abbia fatto una scommessa più sull’Europa che sull’Italia in quanto tale è una tesi che si rafforza se si considerano altri elementi. Uno è che il movimento di ieri è iniziato alla fine della scorsa settimana, prima del Consiglio dei ministri, quando la Merkel, almeno a parole, si mostrava molto più indulgente nei confronti dell’Italia e della sua permanenza nell’euro. Gli altri elementi sono che la situazione macroeconomica di ieri è la stessa di venerdì e la posizione competitiva dell’Italia anche, anzi forse è peggiore perché di certo qualche effetto recessivo si manifesterà dopo i provvedimenti di domenica.

Se la crisi dovesse inasprirsi, se l’Europa, i tedeschi, dovessero cambiare atteggiamento, se qualche banca in Europa dovesse fallire, l’Italia e il suo spread sarebbero punto a capo, con la stessa velocità con cui si è avuto il miglioramento, nell’arco di giorni non settimane. Se per qualsiasi motivo la situazione dovesse migliorare, o come è più probabile smettere di peggiorare, l’Italia rimarrebbe con gli stessi problemi di crescita e competitività, quelli per cui i principali gruppi industriali del Paese (nessuno escluso) diventano di anno in anno sempre più insofferenti a mantenere invariata la base industriale in Italia. In entrambi i casi, e il mercato lo sa perfettamente, l’Italia non risolve i suoi problemi veri; anzi uno spread a 300 e non a 550 rischia di togliere pressione al governo facendo credere che dopo tutto si può andare avanti anche così.

È irrealistico pensare che il mercato abbia fatto una scommessa così pesante e immediata sulla capacità di questo governo di fare le riforme tra qualche mese; un atto di fede così generoso e privo di ragioni materiali non è nelle corde di questi mercati. Al limite la scommessa può essere sul fatto che l’Italia verrà salvata al prezzo del suo impoverimento; un ragionamento che vale fino a che conviene a chi ci “deve” salvare.

Per il resto la geografia della crisi dei debiti sovrani europei dovrebbe far riflettere. Chi ha puntato sul turismo, sulla “soft economy” ha perso e anche alla grande; chi ha puntato sul manifatturiero e sulle esportazioni ha vinto. L’Italia, nonostante tutto, ha ancora una importante componente manifatturiera, imprese vere, che pagano tasse alte per avere servizi pessimi, con una “bolletta energetica” nemmeno paragonabile a quella francese, per esempio, che hanno enormi difficoltà con una legislazione del lavoro inadeguata; non ci sembra sia cambiato nulla a questo proposito.

Si coltivava un sano scetticismo nei confronti dei mercati quando lo spread era a 550, non è il caso di cambiare idea oggi con lo spread a 380 dopo meno di due settimane, soprattutto se ci si illude di aver risolto tutti i problemi per quello che ha tutta l’aria di essere solo un cambio di umore dei mercati.

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