I rumors sullo spin off di Fiat auto sono iniziati più di un anno fa; dal giorno stesso in cui Fiat ha messo le mani su un pezzo di Chrysler era abbastanza chiaro che la musica a Torino sarebbe decisamente cambiata. Non era Marchionne che più di un anno fa teorizzava la dimensione minima di sei milioni all’anno di auto prodotte per poter competere nel settore? Era ancora Marchionne a proporsi come salvatore di Opel offrendo ai tedeschi una fusione a tre con Chrysler che avrebbe diluito il “sistema Italia”. A un mese esatto dallo spin off, Marchionne ha esplicitato quello che con ogni evidenza era da molto tempo il disegno originario: la fusione con Chrysler potrà avvenire in due o tre anni.



Il dibattito che ne è seguito è quasi grottesco agli occhi di molto investitori, così come sembra incredibile l’incapacità di cogliere quello che stava (e sta) accadendo quando si discuteva dei nuovi contratti negli stabilimenti Fiat. Il livello della discussione è così avulso dalla realtà che a volte ci si chiede cosa debba succedere ancora perché si cominci a pensare che il mondo di cinque anni fa è morto e sepolto e non tornerà mai più, nonostante tutto quello che possa dire o fare la Fiom.



Il senso industriale di una fusione con Chrysler è innegabile, le modalità con cui potrebbe avvenire l’operazione sono nettamente la parte più interessante della vicenda. Ma Marchionne è avanti di un secolo rispetto ai suoi interlocutori italiani che non hanno ancora capito cosa sia successo. Per chi non se ne fosse accorto, Fiat auto non è più l’azienda italo-para-statale che conoscevamo. È un player internazionale che genera la stragrande maggioranza dei profitti in Sud America e a breve negli Usa.

Già da quanto successo negli ultimi mesi dovrebbe essere chiaro che la capacità del “sistema Italia” di condizionare le scelte della Fiat sono di molto diminuite. Non solo c’è quel piccolissimo dettaglio della competitività in un mondo dove tutti possono vendere auto a tutti e dove se va bene i competitor possono fare le stesse cose che fai tu mentre se va male le fanno meglio. C’è anche la pressione di un mondo di investitori che vuole un’azienda efficiente e che stia in piedi da sola e che, possibilmente, produca anche utili.



Per quanto riguarda le modalità della fusione con Chrysler, si dovrebbe coltivare il forte sospetto che la tempistica di due-tre anni indicata da Marchionne sia in realtà abbastanza prudente. Una fusione tra un’azienda italiana e una americana non è semplicissima e non si improvvisa; è probabilissimo che si stia già lavorando sodo all’ipotesi. Il fatto che dalla fusione possano discendere benefici industriali e finanziari notevoli significa che prima si fa meglio è per tutti. Lo spin off è avvenuto con almeno sei mesi di anticipo rispetto a quanto si pensasse all’inizio. Un orizzonte di tre anni mette il fatto in coda alla lista delle cose a cui pensare, poi arriva la doccia fredda a cose ormai quasi chiuse.

 

L’altro dettaglio di insignificante importanza è quello relativo a chi conferisce cosa. Gli Stati Uniti hanno regalato il 35% di Chrysler agli Agnelli, poi hanno fatto fare a Marchionne quello che voleva in termini di riduzione del personale e ridefinizione dei contratti, poi gli hanno prestato soldi dello stato, gli faranno acquisire un ulteriore 16% a prezzi d’amatore e dulcis in fundo tra qualche mese daranno a Chrysler qualche miliardo di dollari di fondi del ministero dell’energia a costi ridicoli per sostituire il debito precedente. Tutto questo bendiddio gratis e senza chiedere niente in cambio; non sembra un’ipotesi molto credibile.

 

Tra le varie ipotesi ci sarebbe quella di conferire l’auto (senza Maserati e Ferrari) a Chrysler che rimarrebbe un’azienda americana controllata con poco più del 70% dall’attuale Fiat spa; un’ottima base per aggregare un terzo player (Mazda?) facendo scendere la percentuale di controllo della nuova holding (l’attuale Fiat spa avrebbe una quota di Fiat auto/Chrysler più Ferrari e Maserati). Davvero c’è qualcuno che pensa che gli americani abbiano regalato Chrysler a Fiat così per simpatia? Come minimo la parte americana avrà gli stessi diritti di quella italiana.

In altre parole, Fiat diventerà la filiale europea del nuovo gruppo: rimarrà probabilmente il centro ricerche sul diesel, dove gli americani non hanno competenze, e sui modelli di media e piccola cilindrata e magari sul design. Assolutamente non poco, ma di certo nemmeno il centro di comando unico e totale della nuova entità. L’ipotesi di una Fiat/Chrysler formalmente creata nell’attuale Chrysler ha un’infinità di vantaggi finanziari che vanno dalla tassazione alla differenza di valutazione che i carmaker americani hanno rispetto a quelli europei sul mercato (esattamente il doppio).

 

Dall’altra parte dell’oceano certe rivendicazioni apparirebbero assurde e Marchionne avrebbe un alleato in più nel recupero di efficienza degli impianti italiani. Qualsiasi sia la forma della fusione, quello che è chiaro fin d’ora è che non sarebbe un dominio italiano su Chrysler, ma nella migliore delle ipotesi un equilibrio dei poteri. In ogni caso Fiat avrà meno potere di oggi.

 

Per i più scettici, è consigliabile uno sguardo allo spot mandato in onda da Chrysler durante il Super bowl (con il rapper Eminem che guida la nuova Chrysler 200), che trasuda di orgoglio americano in ogni secondo. Si conclude con lo slogan “Chrysler imported from Detroit”. Non siamo esperti di marketing, ma non sembra una roba del tipo “eterna gratitudine all’Italia per aver salvato l’America”.