Ieri il mercato italiano ha chiuso al -3,6%, quelli del resto d’Europa hanno sofferto, anche se in misura minore, senza esclusioni (Francia e Germania -1,4%, Inghilterra -1,1%). Basta aprire qualsiasi giornale per farsi venire dei sospetti su cosa abbia scatenato questa ondata di vendite sui mercati finanziari. Qualsiasi riferimento alle note vicende che hanno riguardato la regione nordafricana è più che azzeccato. I “significati economico-finanziari” di questi avvenimenti sono però diversi.



La prima domanda a cui bisognerebbe rispondere è come mai la finanza ha reagito in questo modo per la crisi libica e non per quella egiziana, considerando che l’Egitto ha una popolazione di più di dieci volte superiore a quella della Libia. La risposta più ragionevole è che la Libia ha riserve di petrolio di 44 miliardi di barili contro i 4 dell’Egitto; l’Egitto ha comunque un’importanza strategica molto rilevante visto che dal canale di Suez passa il 5% del petrolio trasportato via mare, mentre via terra c’è un assolutamente non trascurabile oleodotto. Poi ci sarebbe l’Algeria, che è giusto lì di fianco con 12 miliardi di barili di riserve di petrolio.



Il brent settimana scorsa ha sorpassato i 100 dollari al barile e ieri sera viaggiava già sopra i 104; a giugno stava a 75. In uno scenario di economia in lento miglioramento con ancora molti elementi di criticità, dalla disoccupazione ai debiti pubblici, uno “shock petrolifero” cambia completamente le carte in tavola, generando un aumento dei costi e dell’inflazione non sano. Come noto, l’incertezza non è mai positiva, soprattutto quando, come in questo caso, fa traballare le poche sicurezze che si avevano, tra cui quella appunto di un miglioramento, anche se lento e fragile. Un prezzo del petrolio fuori controllo potrebbe compromettere, forse irreparabilmente, tutto quello su cui si scommetteva fino a pochi giorni fa.



L’altro problema è quello di cosa accadrà politicamente nelle prossime settimane. Anche gli esperti interpellati dai principali quotidiani finanziari del globo terracqueo concludono con un sostanziale: non sappiamo chi o cosa sostituirà gli attuali governi; non è uno scenario tranquillizzante se, come pare, tra le varie possibilità c’è anche quella del rafforzamento delle componenti più estremiste. In ogni caso, avere un’intera regione a ridosso dell’Europa in agitazione è un elemento di instabilità, incertezza e preoccupazione che non può che tener lontano gli investitori.

Dopo un anno in cui la presenza nei Paesi emergenti ha fatto la differenza per le imprese nei risultati e nelle performance di borsa, scoprire di punto in bianco che un’intera area che si credeva stabile, e in cui si sono investiti miliardi di euro, è in realtà una polveriera è un brusco risveglio anche per i più ottimisti. In tutto questo non c’è niente che possa piacere ai mercati, dall’aumento del prezzo del petrolio all’instabilità politica di un’area che è dall’altra parte del Mediterraneo.

 

Se è vero che le ripercussioni finanziarie hanno riguardato tutta l’Europa senza distinzioni (ieri la borsa americana era chiusa), è altrettanto vero che il mercato italiano è stato nettamente il peggiore. La Libia è il primo fornitore di petrolio dell’Italia e il terzo di gas; molte imprese italiane lavorano e prendono commesse in Libia a partire dall’Eni (circa il 14% della produzione giornaliera del gruppo e primo operatore del Paese), passando per Impregilo, Danieli, Ansaldo, Finmeccanica, Tecnimont e altre decine di imprese italiane. I libici detengono quote azionarie importanti in Unicredit (7,5%) e Finmeccanica (2%).

 

Infine, non è noto che riflessi sull’immigrazione in Europa possano avere le agitazioni in nord africa; è invece noto, a chiunque abbia visto almeno una volta la cartina dell’Europa, quale sarebbe il Paese che avrebbe più problemi. Quale sia il bene da comprare o vendere in questa situazione è una domanda a cui solo pochi eletti possono dare una risposta sensata. Se la risposta non c’è o nessuno la sa, a qualcuno verrà in mente di comprare volatilità; un bel modo di dire che fino a che la situazione non si risolve, di meno tre o più tre sul mercato ne vedremo ancora.