Ieri si è conclusa la prima giornata del salone dell’auto di Ginevra, che ha già dato ampi spunti di discussione sui destini del principale gruppo industriale italiano. Intanto la mattinata si è aperta col botto delle dichiarazioni dell’amministratore delegato di Volkswagen. Così come se niente fosse, Ferndinand Piech ha solamente dichiarato che in mano al gruppo tedesco Alfa Romeo potrebbe in cinque anni quadruplicare le vendite annue; riguardo ai rifiuti di Marchionne all’offerta tedesca il commento è stato “Volkswagen ha tempo”; come dire prima o poi si decideranno a cederla visto che di rilancio per ora neanche l’ombra.



Un potenziale compratore che si mette a magnificare le prospettive del proprio oggetto del desiderio, che oltretutto sta nelle mani di un abilissimo giocatore di poker come Marchionne, non sembra avere molto senso. A meno che le dichiarazioni non siano indirizzate, o non lo siano solo, al venditore, il gruppo Fiat, ma “al sistema Italia”. In altre parole, sarebbe una sorta di rassicurazione e di dichiarazione di intenti sull’ammontare degli investimenti, e sulle ricadute di questi sul sistema produttivo italiano, che Volkswagen potrebbe mettere in campo se potesse comprare Alfa (per quadruplicare le vendite in cinque anni bisogna investire tanto).



In un certo senso, queste dichiarazioni potrebbero perfino manifestare la volontà di iniziare a negoziare i termini e il “prezzo” che Volkswagen dovrebbe accettare e pagare per comprare il marchio del biscione. Finora Fiat ha trovato in chi giustamente si preoccupa del suo destino industriale e del rapporto strettissimo che c’è tra questo e decine di migliaia di posti di lavoro “italiani” una sorta di alleato o di complice nella scelta di non cedere ai temibilissimi rivali tedeschi il vero gioiello, dal punto di vista del marketing, di Torino.

Qualcuno potrebbe (o forse dovrebbe) ora cominciare a chiedersi se per gli stabilimenti italiani non sia meglio avere in casa Volkswagen, previ accordi blindati sull’entità degli investimenti. Marchionne non vuole o non può rilanciare Alfa Romeo nel breve medio termine, perché non solo ci vogliono tantissimi soldi, ma anche perché per competere in quella fascia di mercato occorrono competenze, tecnologie e forza distributiva che Torino non ha e non può improvvisare se non correndo il rischio di fallimenti dal costo miliardario.



D’altra parte, Marchionne di tutto ha bisogno tranne che di rafforzare un proprio concorrente cedendo Alfa; un rischio molto forte che farebbe venir meno l’incentivo di un probabile generoso prezzo di vendita. In questa sua campagna d’Italia, Piech potrebbe aver deciso di aver bisogno di un alleato (“il sistema Italia”) che metta pressione a Fiat. D’altronde, finora di investimenti in Italia se ne sono visti ben pochi, anche perché i nuovi modelli Fiat latitano da molti mesi e non si vedono all’orizzonte.

 

Si è già detto fino allo sfinimento che la scelta di Marchionne è quella di risparmiare le risorse per momenti di mercato migliori. Può essere una buona strategia finanziaria, ma sicuramente dal punto di vista industriale comporta dei rischi. Se Marchionne fosse completamente libero di agire avrebbe già chiuso buona parte degli stabilimenti italiani, che sono oggettivamente inefficienti e inaffidabili. L’avrebbe fatto perché ai suoi occhi di manager made in Usa certe rivendicazioni devono apparire lunari. Il fatto che tra mille polemiche e difficoltà si siano firmati i contratti richiesti paradossalmente potrebbe mettere in difficoltà Marchionne, che ora è costretto a rispettare la propria parte dell’accordo investendo. Chi si augurava la vittoria dei no avrebbe preferito regalare su un piatto d’argento a Marchionne la scusa per uscire definitivamente dall’Italia.

 

In ogni caso, in questo momento di stasi per gli investimenti Fiat, dovuta anche alla mancanza di nuovi modelli, l’appello di Piech è allettante per chi cerca nuovi posti di lavoro in Italia. Non dimentichiamo che le prime avvisaglie degli appetiti tedeschi si sono avute con una delegazione di dirigenti Volkswagen in Regione Lombardia per presentare “le proprie strategie future in Italia” ipotizzando un investimento nella regione che ha dato i natali ad Alfa (pur sempre nata a Milano come Anonima Lombarda Fabbrica Automobili). Estremizzando ancora di più: Piech forse non vorrebbe giocare la partita Italia contro Germania (a calcio tra l’altro i tedeschi hanno sempre perso) ma la partita Italia/Germania contro Fiat. La questione non è banale, ma è veramente difficile non farsi prendere dall’idea di un matrimonio tra Volkswagen e Alfa che mantenga un cuore italiano; sicuramente è preferibile alla situazione presente.

Infine, un’ultima chicca: da qualche mese le dichiarazioni sui destini di Fiat auto si sono diradate e proprio ieri Marchionne ha rifiutato di commentare la possibilità che Chrysler possa ottenere (come ormai quasi certo) 3,5 miliardi di dollari di finanziamenti dal ministero dell’energia americano. Anche la mancanza di modelli e perfino di annunci circostanziati comincia a suonare strana. Se non lo sapete, vi diciamo che il meccanismo con cui verrà calcolato il prezzo a cui Fiat pagherà un ulteriore 16% di Chrysler, per arrivare al 51%, è già definito (Marchionne, tra l’altro, ieri ha ribadito che verrà comprato prima della quotazione). Fiat pagherà questa partecipazione in base ai multipli a cui la stessa Fiat è valutata in borsa.

 

Per chi non è abituato alla borsa, l’idea sarebbe un po’ questa: è come se voi doveste comprare la casa del vicino (Chrysler) e il prezzo al metro quadro fosse definito da quanto viene valutata la casa in cui vivete voi (Fiat). Sicuramente noi siamo eccessivamente maliziosi, però, un compratore sveglio non andrebbe in giro a magnificare il proprio appartamento; anzi quasi quasi direbbe che è freddo e bisogna pure rifare la facciata. Siccome questa quota a Fiat potrebbe costare quasi un miliardo di euro, ci sarebbe tutto l’interesse a stare quieti. Ci sarebbe anche il dettaglio dei multipli a cui trattano i carmakers europei e quelli Usa (il doppio) e cosa implicherebbe comprare a quelli europei per avere una cosa che sta in America. Ma per oggi questo basta e avanza. Avremo molte altre occasioni per tornare sull’argomento.