Fino a qualche settimana il ritornello che veniva ripetuto fin nei sottoscala dei mercati finanziari era che tutti sapevano che i tassi di interesse sarebbero dovuti salire, ma che nessuno sapeva quando. A dare una risposta a questa domanda da un milione di dollari, per la “gioia immensa” di chi ha un mutuo a tasso variabile, è stato lo stesso presidente della Bce, Trichet, settimana scorsa quando ha annunciato che un aumento dei tassi è probabile già dalla prossima riunione della banca centrale europea ad aprile.



Con ogni probabilità si tratterà di un aumento di 25 punti base e, sempre secondo le parole di Trichet, non è necessariamente da considerare come l’inizio di una serie di aumenti dei tassi, anche se un altro aumento da 25 punti pare altrettanto probabile per luglio (per arrivare all’1,5%).

Facciamo finta di non sapere o di esserci dimenticati che l’ultima volta che Trichet ha pronunciato le frasi di settimana scorsa è partita una fase prolungata di aumento dei tassi a cadenza trimestrale dello 0,25%; possiamo accantonare questo “spettro” che aleggia sui mercati ancora memori del rialzo dell’estate 2008, quando l’economia già collassava sotto i colpi dei terremoti banco-finanziari. In compenso non si può far finta che tutto ciò stia avvenendo in un mondo “normale”.



Ci sono diversi elementi che non sono “normali”. Il primo è che da almeno due anni siamo assuefatti a tassi incredibilmente bassi con cui le banche centrali hanno sostenuto l’economia e i mercati finanziari. Un altro è che per molti mesi l’inflazione è sembrata praticamente estinta. L’altro elemento non “normale” è che le condizioni economiche, tanto per fare qualche esempio a caso, della Germania e della Grecia o Spagna sono leggermente dissimili. Nel primo caso tutto giustifica un aumento dei tassi, anche senza considerare le recenti impennate del petrolio, nel secondo qualche preoccupazione è più che lecita. In ogni caso, qualsiasi sia la visione macroeconomica i cambiamenti in atto avranno impatti su alcuni temi particolarmente sensibili.



 

Il più immediato riguarda ovviamente i mutui immobiliari, vero incubo/sogno di gran parte degli italiani. L’Italia è il Paese dell’Europa occidentale con il tasso più alto di possessori di casa; la predilezione per gli immobili in Italia non ha eguali in Europa. L’idea è questa: per chi vuole comprare casa è peggio, perché il mutuo costerà di più; chi ha un mutuo a tasso fisso sta tranquillo, chi l’ha a tasso variabile starà un po’ peggio, ma siamo ampiamente sotto i livelli di guardia e in più gli è andata di lusso negli ultimi anni.

 

Più difficile tirare qualche conclusione univoca sui prezzi delle case. Se fossimo in una situazione di crescita robusta con un’inflazione sana si potrebbe scommettere senza troppi patemi su un rialzo dei prezzi degli immobili. Così sta accadendo ormai da diversi mesi in Germania con un andamento che appare consolidato; il fatto che i tassi bassi rendano difficile trovare investimenti finanziari interessanti ha ancora di più incentivato gli imprenditori tedeschi a comprare immobili per difendere dall’inflazione i guadagni di un’economia che tira senza sosta (forse ponendo addirittura le basi per una bolla, Bce permettendo). In Italia, con un’economia molto più fragile, la situazione dovrebbe rimanere ancora stabile.

Per chi ha soldi da investire, invece, sarà meno problematico trovare rendimenti decenti. Tra gli innumerevoli spunti da evidenziare anche uno sguardo alle banche italiane e alla Fed. Un rialzo dei tassi fa bene ai conti economici delle banche italiane, ancora essenzialmente retail, e in particolare al margine di interesse; è invece un problema per chi genera la maggior parte dei ricavi con il trading e l’investment banking o le operazioni a leva. Se l’obiettivo è colpire chi ha usato troppo disinvoltamente la liquidità, questo rialzo può essere considerato un avvertimento.

 

Dall’altra parte dell’oceano, invece, per ora di rialzi dei tassi a breve non sembra esserci nemmeno il rischio, almeno finchè il miglioramento del mercato del lavoro rimane così lento. Per scoprire chi avrà avuto ragione tra Fed e Bce non serviranno molti mesi.