Ieri mattina, dopo la comunicazione di rito di temporanea sospensione delle azioni, Lactalis ha diffuso un comunicato per annunciare il lancio di un’Opa totalitaria su Parmalat a 2,60 euro per azione. Alla fine il gruppo francese ha preso una decisione per tutti facendo calare il sipario su una vicenda che stava diventando grottesca. È passato un mese dall’annuncio dell’acquisto da parte di Lactalis del 29% di Parmalat e tre settimane dalla decisione con cui il cda optava di rinviare di due mesi l’assemblea per favorire la creazione di una cordata italiana. Nel frattempo, il governo emanava un decreto che definiva i settori di “interesse nazionale”, mostrando in modo inequivocabile che l’operazione non era gradita.
Quello che è successo ieri è sempre stato fin dall’inizio la vera e unica arma finale di Lactalis: mettere sul tavolo soldi veri e subito lanciando un’Opa avrebbe messo il governo/sistema italiano con le spalle al muro. Fino a quando qualcuno compra il 29% (la metà da tre fondi) prendendo di fatto il controllo della società, ma escludendo gli altri azionisti di minoranza dall’offerta, il governo può continuare a contare sul silenzio del mercato. Quando arriva l’offerta cash a premio sui corsi del titolo, “il mercato” smette di essere neutrale e sta con chi paga di più. È molto semplice. Oggi il Governo dovrebbe non solo trovare un’alternativa, ma una disposta ad aggiungere qualcosa per gli investitori rispetto ai 2,60 euro dei francesi; un numero che da ieri è diventato il punto d’entrata minimo per chiunque voglia sedersi al tavolo delle trattative.
Il primo aprile commentavamo la situazione del governo italiano con la metafora calcistica del 3-0 subito in casa; ieri i francesi hanno replicato il risultato nella partita di ritorno. Questo per mettere in chiaro qual è la situazione attuale, al di là dei proclami che si sentiranno nelle prossime ore. A questo punto rimangono due cose da dire: come siamo arrivati a questo e cosa è ragionevole attendersi.
Siamo arrivati all’Opa per tre motivi. Il primo è che la cordata italiana aveva tutto, appoggio del governo e finanziamenti bancari, tranne che un soggetto industriale che si facesse carico dell’operazione. Sentiremo le lamentele sul capitalismo italiano senza capitali e sulla mancanza di coraggio industriale del sistema italiano. Sarà stata un’accusa vera per mille altri casi, ma per questo in particolare rimaniamo scettici; in Italia non si può pretendere che un gruppo industriale si faccia carico di un’operazione di sistema con i soldi dei propri azionisti in un investimento dai ritorni industriali e finanziari fumosi.
La realtà è che Parmalat, in un’ottica di sistema italiano, è sempre stato il potenziale aggregatore, perché è leader e per il miliardo di euro di cassa. A parte Granarolo, che però è piccola (rispetto a Lactalis) e che avrebbe comportato problemi di antitrust, non c’era un gruppo italiano che avesse convenienza industriale nell’operazione. Questo è il peccato mortale/originale del “sistema italiano” per quello che è successo: aver lasciato Parmalat in un limbo strategico per anni. Una responsabilità a cui, per forza di cose, non è estraneo il management di Parmalat, che non ha saputo finalizzare l’acquisizione che avrebbe messo al riparo il gruppo da molti appetiti “ostili”.
Il secondo motivo è che il Governo italiano era riuscito a prendere tempo e a rendere molto credibile la minaccia che prima o poi sarebbe riuscito a proporre un’alternativa, per quanto pasticciata. Per questo Lactalis ha deciso di anticipare i tempi. L’ultimo motivo è che Lactalis aveva alle proprie spalle un sistema politico-finanziario che si è mosso in modo compatto. Certe operazioni non si fanno senza i soldi delle banche e non si portano avanti contro il gradimento del governo locale. a meno che non si sia sicuri di avere dalla propria una forza altrettanto influente.
Questa non è dietrologia, ma una considerazione di buon senso. Lo stesso prezzo d’Opa che nessuno tra gli italiani o tra i potenziali innumerevoli investitori esteri aveva ritenuto interessante alimenta sospetti. Se è un’operazione di sistema bisogna però dire qual è l’interesse del sistema che non fa fare troppo gli schizzinosi sul prezzo pagato. Il fatto che la Coldiretti sia preoccupata per l’operazione non può essere un caso da psichiatra per manie di persecuzione. Allo stesso modo è davvero così audace pensare che il fatto che l’Italia sia importatore netto di latte abbia qualcosa a che fare con quello che in Francia si produca più del doppio del latte dell’Italia?
Probabilmente non accadrà niente di male agli allevatori italiani, rimane però tutto il rammarico per essere arrivati fuori tempo massimo all’ennesimo appuntamento importante. Parmalat poteva facilmente essere il nucleo per un campione nazionale nell’industria agroalimentare. Era quotata, sana, con una posizione di leadership nel proprio mercato e con un miliardo di euro di cassa; abusando delle metafore calcistiche, era un rigore a porta vuota. Se il sistema non riesce a segnare nemmeno questi gol viene da chiedersi quale possa essere il futuro industriale dell’Italia mentre il suo principale gruppo, Fiat, prende la via dell’America lasciando enormi punti in sospeso sul destino degli stabilimenti italiani. Di certo non è con obblighi e costrizioni fuori dalle condizioni di mercato che si risolve il problema.
Ora al governo rimangono spazi di manovra ristrettissimi per non dire nulli. Lactalis ha dichiarato che intende mantenere Parmalat quotata; probabilmente lo Stato italiano, in una qualche forma, prenderà una quota di minoranza del gruppo a garanzia della filiera nostrana, ma la sostanza dei fatti non sembra destinata a cambiare. Qualsiasi altro sogno su Parmalat campione italiano nel mondo, impresa dal cuore tricolore nei mercati globali, è invece finito oltre ogni possibile dubbio.