Tra un aumento di capitale di Intesa da 5 miliardi di euro, le dimissioni di Geronzi dalla presidenza di Generali e il rally delle banche, ieri c’è stato spazio per un’altra notizia sensibile che rischia di passare ingiustamente sotto silenzio. Il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, in occasione del Salone del risparmio ha lanciato la proposta di fare un test a Milano per introdurre per l’attività finanziaria un regime fiscale di favore sulla scorta di quello irlandese; l’idea del ministro sarebbe quella di “fare shopping di regimi fiscali”, copiando quelli di altri paesi.

Una proposta del genere dal fustigatore della “turbo-finanza” affamatrice di popoli potrebbe anche suonare sorprendente. Tremonti negli ultimi anni ha criticato l’universo banco/finanziario in innumerevoli occasioni. A meno di un repentino e clamoroso cambio di idea, l’unica spiegazione possibile è che i fatti siano un po’ più complessi di quello che si pensa comunemente.

La premessa non detta di questa proposta è che già da molti anni chi gestisce hedge fund, fondi di investimento, ecc. ha trasferito buona parte dell’attività fuori dall’Italia, portando tutto verso i paesi che offrono le migliori condizioni fiscali (Irlanda, Lussemburgo, Svizzera e, in una certa misura, Inghilterra). Il risultato è che in alcune piazze europee sono arrivati soldi, posti di lavoro e si sono creati “centri di eccellenza”, mentre in altre non sono rimaste né le tasse, né i soldi.

I motivi sono abbastanza intuitivi. In genere, chi ha tanti soldi non legati a un’attività fisica ne ha anche abbastanza per trovare modi per “ottimizzare” la pressione fiscale, chi gestisce i soldi cerca un modo per farlo nel modo più flessibile, pagando meno tasse e facendone pagare di meno ai clienti. Insomma, è più facile spostare cento milioni di euro che cento persone con capannone annesso. Oggi, i principali gruppi italiani di gestione del risparmio hanno piattaforme operative e uffici fuori dall’Italia; questo significa che lo Stato italiano riesce a tassare solo parzialmente capitali e guadagni e non beneficia nemmeno dei posti di lavoro che quei capitali producono.

È impensabile riuscire a cambiare questa situazione. Intanto non stiamo parlando di paesi esotici, ma di stati europei e membri dell’Unione europea che hanno rispettato regole e norme; poi anche ci fosse un accordo europeo, molto improbabile, si rischierebbe di vedere una nuova migrazione verso Stati più benevoli. Durante i momenti peggiori della crisi, quando a Londra si invocavano misure punitive per gli hedge fund, alla sola idea già si preparavano esodi biblici verso la Svizzera.

Lasciare andare parte della propria industria finanziaria non è una grande idea, soprattutto se si è in un Paese come il nostro che ha ancora molto risparmio. Eliminare o ridurre di molto il vantaggio competitivo che hanno le piazze estere consente a chi è rimasto di competere ad armi pari e incentiva, almeno in teoria, chi è andato via a tornare. Non bisogna farsi troppe illusioni; anche con il nuovo decreto di Tremonti non ci saranno rivoluzioni e contro-esodi. Non si tratta di scimmiottare Londra giocando una partita che è persa in partenza e che probabilmente non è nemmeno auspicabile vincere; vivere di sola finanza, o quasi, ha i suoi rischi.

L’obiettivo di rendere meno marginale Milano, e con lei l’Italia, nello scacchiere finanziario europeo non è, però, da trascurare. Intanto, non ci risultano economie e Paesi di primo piano senza capitali finanziarie di peso. Poi la buona finanza fatta bene e professionalmente serve alle imprese e alle persone. Un po’ più di competizione e professionalità non fa mai male. Dicevamo che vivere di sola finanza ha i suoi rischi, ma anche vivere con troppa poca non è indolore; proprio in Italia e a Roma, non in un oscuro paese della provincia profonda, un tizio mai sentito (di certo non era un Madoff ex-presidente del Nasdaq) pare abbia fregato più di mille persone con un vecchissimo schema Ponzi, promettendo ritorni a due cifre un anno sì e l’altro pure.

La cosa che colpisce della vicenda non è tanto una questione morale sul fatto che guadagnare troppo sia sbagliato (una tesi che si sa dove inizia, ma non dove finisce). La cosa incredibile è la totale mancanza di percezione del rischio delle vittime. Un minimo di cultura finanziaria basta e avanza per capire che certe promesse non possono essere mantenute e che se lo sono è meglio scappare il prima possibile. Un’industria finanziaria più competitiva non elimina rischi di questo tipo, ma li riduce e di molto; se non altro perché quelli onesti e bravi devono spiegare perché loro, invece, certi ritorni non sono in grado di darli.