Ieri, oltre a essere stato il giorno di molti chiarimenti politici dopo i risultati dei ballottaggi di lunedì, è stato anche il momento delle analisi sugli impatti economici dell’esito elettorale. La capitale economica e finanziaria italiana ha cambiato schieramento politico dopo 14 anni, mentre l’attuale compagine di governo ha subito una sconfitta elettorale netta. Gli elementi che meritano di essere presi in considerazione sono molti e comprensibilmente hanno conseguenze molto diverse, nazionali o prettamente locali.
II primo punto è che nel turbolento contesto finanziario attuale l’Italia è rimasta sostanzialmente al riparo da speculazioni nonostante il debito statale sia a livelli preoccupanti; la ragione principale è il rigore fiscale che Tremonti ha assicurato e sta assicurando ai mercati da mesi. Qualsiasi novità che facesse intendere un cambiamento di questa politica farebbe venir meno molte certezze sulla volontà dell’Italia di contenere il deficit con immediate e pesanti conseguenze sul costo di rifinanziamento del debito italiano.
Senza essere commentatori politici, questa sembra una ragione più che valida per ritenere che Tremonti abbia un potere sostanziale come garante dell’Italia presso i mercati finanziari. Inutile specificare che se da questa tornata elettorale dovessero nascere crisi di governo sul debito italiano si avrebbero ripercussioni immediate e più pronunciate della norma.
Il secondo tema è quello della “politica industriale”; già diverse settimane fa sottolineavamo come la debolezza del governo avrebbe potuto mettere a rischio molti settori chiave per l’economia italiana. Il regalo di Parmalat ai francesi è stato anche il frutto di poca coesione politica e probabilmente di un presidente del Consiglio indebolito dagli scandali interni. Questa situazione diventa terreno fertile per chiunque abbia qualche mira in Italia e si sia finora trattenuto per timore di scontrarsi con il sistema politico.
In questo caso, quello che si può fare per contrastare operazioni ostili sembra davvero poco se non ricreare nel minor tempo possibile una situazione di nuovo stabile. I destini nazionali e locali sembrano unirsi nel caso di A2A, controllata pariteticamente dai comuni di Milano e Brescia, e principale azionista italiano di Edison dopo i francesi di Edf. Proprio nelle ultime settimane è diventato via via più evidente come Edf abbia tutte le intenzione di portare a casa la partita Edison prendendo il controllo della seconda utilty italiana. Il momento di transizione attuale sia al Comune di Milano che nel governo potrebbe sembrare a Edf un momento ideale per l’affondo finale.
Ogni altra considerazione su eventuali crisi di governo è rimandata in attesa di comprendere cosa succederà, anche se già ora si può facilmente prevedere che, in caso di crisi, si tratterà di un evento destinato ad avere molte ripercussioni; Berlusconi, in diverse fasi, è stato una delle poche costanti del panorama politico italiano degli ultimi venti anni. Si pensi solo ai rapporti energetici con la Russia di Putin o con il Nord Africa.
Rimanendo a Milano, oltre ad A2A, la principale conseguenza del voto di lunedì è sui destini del Pgt, che renderebbe flessibile la destinazione d’uso degli immobili permettendo di adattarli alla reale domanda del mercato. Si potrebbe offrire l’immobile giusto all’utilizzatore giusto per una città che si sta trasformando, invece che aspettare anni per cambiare un immobile secondo esigenze che a quel punto si sono già esaurite.
I report prodotti dai principali uffici di ricerca immobiliare negli ultimi anni hanno dipinto un quadro di mancanza di offerta come principale causa della tenuta dei prezzi a Milano; le rigidità del mercato non aiutano la discesa dei prezzi e la mancanza di nuovi immobili o di immobili vecchi rinnovati aiuta invece chi ha una posizione di rendita e non ha esigenze di vendere. Lo smantellamento del Pgt comporta minori investimenti per centinaia di milioni di euro e con ogni probabilità molti altri anni di prezzi fuori mercato.
Quest’ultimo tema sarà già un test per capire quanto sia reale/realistico il nuovo governo milanese: se i non ricchi devono rimanere nelle case popolari in periferia (vicino ai “fratelli musulmani e rom”) oppure se possono comprare casa dentro la città perché la concorrenza di prodotti nuovi abbassa i prezzi di quelli vecchi.