«Il governo italiano ha elaborato un piano ambizioso di consolidamento fiscale capace di portare in pareggio il bilancio pubblico entro il 2014 e mettere stabilmente il rapporto debito pubblico/pil in un trend discendente». Queste brevi righe non sono il proclama dell’attuale presidente del consiglio nel vano tentativo di rassicurare i mercati, sono invece le parole con cui ieri sera Fitch, per bocca del responsabile globale dei rating sovrani, Daivd Riley, ha confermato il rating sull’Italia annunciando lo scampato pericolo.
Le giornate borsistiche di martedì (chiusura a +1,18% dopo il -4% iniziale) e mercoledì (+1,79%) potrebbero persino indurre a pensare che lo spavento di lunedì sia stato in realtà solo un brutto scherzo. Il crollo dei titoli di stato italiani con primari broker internazionali che si rifiutavano di prezzarli non si può però archiviare nella categoria degli errori veniali e nemmeno in quella dei fraintendimenti. Sempre Fitch ieri si è premurata di precisare che «la deviazione materiale dai target fiscali di medio termine annunciati dal governo metterebbe sotto pressione negativa i rating sovrani dell’Italia»; insomma alle buone intenzioni adesso devono seguire i fatti.
Cos’è cambiato da lunedì a oggi? Cosa sia intervenuto tra la giornata di lunedì e ieri per giustificare questo repentino cambio d’umore dei mercati è la prima domanda che occorre farsi per cercare di non perdere il bandolo della matassa. L’unica certezza al momento è che il governo modificherà la finanziaria illustrata qualche giorno fa. Come? Il provvedimento, ha dichiarato Tremonti, «sarà rafforzato su tutto il quadriennio». Ulteriori dettagli che aiutino a capire come e in che misura questo rafforzamento verrà perseguito sono al momento molto oscuri e di certo lo erano nella giornata di martedì e di ieri nelle ore in cui il mercato recuperava parte di quanto perso.
L’idea è che il governo, capita l’antifona, abbia registrato al di là di ogni possibile incomprensione che il provvedimento proposto non era in nessun modo sufficiente per rassicurare i mercati e che in definitiva non era sufficiente per iniziare a risolvere i problemi economici dell’Italia. L’altra rassicurazione che ha avuto il mercato è che la manovra sarà probabilmente blindata e a prova di possibi futuri ridimensionamenti. Quale sia l’alternativa a questa opzione non è più argomento di discussione dopo la giornata di lunedì e quindi i mercati stanno al momento ritenendo che l’Italia abbia capito la lezione.
Tremonti è ancora l’uomo dei mercati? L’impressione è che Tremonti sia oggi meno “l’uomo dei mercati” di quanto lo fosse qualche giorno o settimana fa e che in un certo sia un po’ meno indispensabile. Lo scivolone degli ultimi giorni e la punizione dei mercati non possono essere slegati anche da un giudizio negativo sulla prima bozza di manovra di cui lui è stato pure artefice. È difficile dire quanto abbia influito lo scandalo Milanese, ma è assolutamente possibile che in questa sorta di downgrade personale abbia avuto un ruolo. Tutto ciò non fa altro che aumentare le rassicurazioni politiche che l’Italia deve dare in questo contesto ai mercati e il messaggio che viene richiesto è che ogni cambiamento è lecito purchè sia chiara la volontà di mantenere gli impegni su deficit e debito. In ogni caso rimane valida la tesi che ai mercati non piaccia l’incertezza economica o politica.
Sono finiti i ribassi? Al di là della speculazione, se così si vuole chiamare, che certamente esiste quello che è chiaro è che la speculazione prende di mira i deboli e non i forti allo stesso modo in cui è finita al centro del mirino l’Italia e non la Germania. A meno di un’improvvisa, e sinceramente al momento inattesa, ripresa economica globale che ridimensioni immediatamente la questione della sostenibilità dei debiti sovrani la “questione Italia” rimarrà sul tavolo degli investitori; ci rimarrà fino a quando non saranno risolti i problemi o fino a quando non si arriverà alla convinzione che l’Italia abbia definitivamente intrapreso un percorso virtuoso.
Perché questo accada serve, come detto nella precedente puntata, che l’Italia riesca a risanare i conti senza intaccare la crescita visto che attualmente la crescita del Pil italiano è la metà di quella francese e un terzo di quella tedesca. Rimane infatti valida la tesi che un debitore più povero è tendenzialmente un debitore più pericoloso, mentre è nell’interesse dell’Italia non dover essere costretta a impoverirsi per far fronte ai debiti. Come già detto è “solo” un problema di che sacrifici fare.
Cosa deve contenere la nuova finanziaria per rassicurare i mercati? In questo contesto è impossibile evitare di passare attraverso provvedimenti dall’effetto immediato per riconquistare la fiducia dei mercati a cominciare dall’aumento del bollo sui conti deposito, che con ogni probabilità rimarrà, anche se con una maggiore gradualità. L’impegno a rispettare la riduzione del deficit promessa e le relative misure sono probabilmente un altro requisito necessario; non si può pretendere che gli investitori credano in questa fase a promesse di maggiori tassi di crescita futura per evitare tagli spiacevoli e probabilmente comunque necessari, a partire dalle pensioni.
L’interesse dell’Italia, le attese delle agenzie di rating e dei mercati, almeno di quella parte che non ha venduto allo scoperto, si incontrano nell’esigenza di aumentare il tasso di crescita del Pil italiano. Per raggiungere questo obiettivo servono anche soldi per investire e per stimolare la crescita, soldi ottenibili, per le ragioni di cui sopra, solo con dolorosi e scomodi recuperi di efficienza, un ambito in cui ,”fortunatamente” l’Italia ha ampi margini di manovra.
Le privatizzazioni sono una soluzione? Ieri Tremonti ha dichiarato che occorre «iniziare un processo di privatizzazioni passata la fase di crisi che ha bloccato tutto». Dopo la tornata di privatizzazioni degli anni ’90, in realtà non è rimasto moltissimo e di certo questo non è il mercato del venditore come sa per primo lo stesso Tremonti che appunto specifica che si debba aspettare la fine della crisi. Se le vendite servono per finanziare la crescita e non la spesa corrente si può probabilmente considerare tutto, anche se non è con le sole privatizzazione che si risolve il problema. Rimane il fatto che si deve pensare attentamente a cosa e a chi si vende, soprattutto nei settori strategici, e che è meglio pensarci molto bene prima di pentirsene irreparabilmente.