Dopo una delle manovre finanziarie più pesanti della storia, la Borsa italiana ha chiuso la giornata con un calo doppio rispetto agli altri paesi europei. Una spiegazione possibile, che accontenta e tranquillizza tutti, è quella della solita speculazione finanziaria che sta massacrando l’Italia senza ragioni sostanziali; questa spiegazione ha diverse varianti, da quella per cui l’unica ragione è la smania per extra profitti della finanza che non guarda in faccia a niente e a nessuno a quelle più “dietrologiche” e raffinate in cui gli Stati Uniti colpiscono l’area euro per mettere in luce i treasury nonostante le disastrate finanze americane.



Il corollario di questa spiegazione sarebbe un’accusa ancora più grave per i mercati incapaci di riconoscere i sacrifici degli italiani; con o senza corollari sono elementi che sarebbe stupido ignorare e che sicuramente stanno giocando un ruolo non marginale, ma nessuna delle varianti con cui si presenta questa “teoria” sembra arrivare a spiegare il cuore del problema.



Anche l’esito degli stress test, pure importanti, non riesce a spiegare il crollo delle banche italiane di ieri. Parlare di stress test delle banche in un momento in cui si discute della capacità dell’Italia di ripagare il proprio debito e in cui il presidente degli Stati Uniti mette nella stessa frase le parole “default” e “debito americano” lascia sinceramente un po’ interdetti.

In altre parole, il fatto che le banche italiane abbiano passato gli stress test può voler dire tutto o niente in una fase in cui i mercati stanno spingendo il costo del debito italiano a livelli insostenibili nel medio-lungo periodo (contando che tutti ormai sono consapevoli degli esiti delle “profezie autoavverantesi”) e in cui ci si interroga, per farla breve, sulle probabilità di un fallimento dell’Italia.



In ogni caso, le banche italiane, per quello che vale, hanno superato lo stress test senza eccezioni. Sono tra le meno dipendenti dalla finanza in Europa, non stanno subendo alcun crollo della bolla immobiliare, che in Italia non c’è stata, e hanno appena finito un’importante tornata di aumenti di capitale che ha coinvolto Monte Paschi, Ubi, Intesa e Banco Popolare, quattro delle cinque banche italiane (la quinta è Unicredit) che sono state oggetto del test. Nonostante questo, ieri le banche italiane hanno avuto performance tragiche (Intesa -6,5%, Banco Popolare -6,7%, ecc.) ben peggiori di quelle dei competitor europei.

La domanda che rimane alla fine degli stress test è perché nello scenario base usato per realizzarli le banche italiane abbiano considerato stime di utili al 2012 che sono circa la metà di quelle che attualmente gli analisti considerano. Una delle spiegazioni è che la Banca d’Italia abbia dato indicazioni particolarmente severe e “prudenziali” per la stima delle perdite su crediti per gli anni a venire; è una possibilità, ma questo suggerisce che in un test che non ha preso in considerazione il fallimento dell’Italia la vera variabile sia stata ancora una volta la crescita o meno del Paese di cui le sofferenze bancarie sono una conseguenza diretta. La differenza tra le stime degli analisti e il base case scenario degli stress test è così macroscopica che è molto difficile, se non impossibile, pensare che ieri sia sfuggita a qualcuno.

Il dubbio tremendo che si fa strada è che l’Italia sia percepita come un Paese sulla via di un inevitabile declino con un debito enorme sulle spalle. La finanziaria approvata paradossalmente non fa che confermare questo sospetto in chi ci guarda. Aumentare tasse, bolli, ticket per recuperare un po’ di soldi senza risolvere i problemi ricorda il nobile decaduto che si vende i gioielli per pagare qualche debito e mantenere lo stesso stile di vita; finiti i gioielli rimangono i problemi. Una finanziaria di questo tipo da un certo punto di vista è la prova che si cerca per dimostrare che l’Italia non ce la può fare, che non ha abbastanza lucidità, capacità di sacrificio e lungimiranza per uscire dalla crisi “di crescita” che la riguarda da ormai un decennio.

Trasferire dai privati al pubblico, l’efficientissimo Stato italiano, aumentando le tasse senza tagliare le spese non è in nessun modo una soluzione; la revisione in senso permissivo delle norme sul fallimento politico non suona particolarmente incoraggiante, così come quello sullo stralcio degli indici di virtuosità; l’aumento dell’età pensionabile salva sostanzialmente i diritti acquisiti e così via.

Lo sforzo che pure i cittadini italiani faranno rischia di essere senza conseguenze se la crescita rimane dov’è. Tranquillizzare i mercati senza rimandare alle calende greche il risanamento, con una finanziaria pesante da subito, è un obbligo, ma questo non basta né per risolvere i problemi dell’Italia, né evidentemente alla fine per tranquillizzare veramente i mercati che in questa situazione trovano un terreno fertilissimo per qualsiasi speculazione. Chi ieri ha venduto allo scoperto sui minimi si è preso rischi molto elevati ma ragionevoli di fronte a un Paese che appare irresponsabile e senza la capacità di invertire la rotta.

A scanso di equivoci pretendere di affrontare i problemi solo con le liberalizzazioni o con le privatizzazioni non è una soluzione, così come sono molto affascinanti e sicuramente giuste, ma poco significative, quelle sui “costi della politica”. Stimolare la crescita abbassando le tasse alle imprese e investendo in infrastrutture molto probabilmente è la soluzione giusta, soprattutto in Italia.

Nessuno dice che trovare le risorse per farlo senza aumentare il debito sia facile o comodo, ma è l’unica possibilità nel medio-lungo periodo tagliando le inefficienze, dove ci sono, dell’amministrazione pubblica, della sanità, ecc.; altrimenti non resta che protestare invano contro la speculazione che avanza, ma delle proteste e delle lamentele la speculazione non sa che farsene.