Nella homepage del sito del ministero dell’Economia campeggia in bella evidenza l’intervista che Tremonti ha rilasciato al Financial Times il 30 giugno, in cui il ministro assicura che la coalizione al governo approverà la finanziaria di “austerity” senza cambiamenti rispetto a quanto ha richiesto.

La foto che accompagna l’articolo è tutto un programma e vede l’attuale Presidente del consiglio fronteggiare faccia a faccia il ministro dell’Economia. Nemmeno il più sprovveduto degli sprovveduti potrebbe a questo punto equivocare su “chi stia con chi” e, soprattutto, sul destinatario del tifo dei mercati finanziari o sul peso di cui gode Tremonti in questo particolare frangente politico-economico-finanziario.



La giornata di ieri ha regalato quindi un brivido inatteso quando la conferenza stampa prevista per le 12:00 per presentare la manovra è stata cancellata per l’introduzione della norma “salva Fininvest” all’insaputa di Tremonti (anche se ufficialmente la ragione addotta è stata il maltempo); un’ulteriore prova degli attuali rapporti di forza con il ministro dell’Economia, in grado di contraddire apertamente il leader del governo su un tema particolarmente sensibile.



Date queste premesse sembra veramente difficile che alla fine la manovra pensata da Tremonti non veda la luce nei termini con cui è stata pensata, dato che a questo punto chi si assumesse la responsabilità di bocciarla dovrebbe poi rilasciare dichiarazioni con il mercato italiano sotto un diluvio di vendite.

Le bozze della norma e della relativa relazione tecnica circolate finora generano diversi spunti di riflessione. Intanto, i maggiori risparmi sono a carico della prossima legislatura, qualunque essa sia, visto che cadono nel 2013-2014, mentre tra i provvedimenti che promettono di aumentare le entrate nel breve periodo se ne possono commentare almeno due.



Il primo e più discusso riguarda l’aumento del bollo annuale sui dossier titoli (tra cui rientrano i diffusissimi bot e cct) che passa dagli attuali 34,20 euro all’anno a 120 nel 2012 per poi salire a partire dal 2013 a 150 euro nel caso in cui il valore dei titoli sia inferiore a 50.000 euro e a 380 in caso in cui il valore sia superiore.

La norma è stata da più parti accostata a una patrimoniale per gli effetti che avrebbe sugli importi di minore entità; per lo “sporco capitalista” che avesse 10.000 euro di titoli di stato si tratterebbe dell’1,2% dell’ammontare; se si considera la tassazione del 12,5% e i rendimenti bassissimi dei titoli di stato si elimina praticamente qualsiasi ritorno, e tra l’altro, nel caso specifico qualsiasi incentivo al risparmio. Secondo la relazione tecnica (sempre bozza), l’inasprimento dovrebbe generare 721 milioni nel 2011 e 2,4 miliardi a partire dal 2014. Non sembrano numeri impossibili da recuperare diversamente, magari con il controllo sulla sanità allegra di alcune regioni italiane, ma prelevare qualche centinaio di euro da ogni conto è decisamente più semplice e veloce, non si scontenta nessuna “rendita” e non c’è nessuno che scende in piazza.

L’altra norma che vale la pena esaminare da vicino è molto più “tecnica” e riguarda il mutamento del regime fiscale delle società titolari di concessione; la più penalizzata sarebbe Atlantia (le autostrade) che a regime dovrebbe pagare più di 100 milioni di euro in più di tasse all’anno. Posto che lo sporco capitalista di cui sopra, titolare di 10.000 euro di titoli statali, ci potrebbe stare più simpatico dei Benetton, il cambio di tassazione, per questo ammontare, con la concessione in corso non è molto giustificabile. Intanto le società colpite potrebbero rivolgersi con buone chance di successo all’Unione europea, ma soprattutto l’Italia si confermerebbe un Paese senza alcuna certezza del contesto normativo fiscale che cambia a seconda delle esigenze del governo.

Se questa è la situazione, la propensione dei privati a investire in Italia, soprattutto se si tratta di un orizzonte temporale a medio-lungo termine, non può che diminuire e si disincentivano ancora di più gli operatori esteri che vedono un Paese non solo senza crescita, ma anche senza regole fisse rispetto Paesi a forti tassi di crescita o senza alcun tipo di rischio politico.

Queste due novità servono per aumentare da subito il gettito, ma difficilmente possono essere considerate interventi di sistema o riforme di ampio respiro. Negli ultimi anni si è ripetuto fino allo sfinimento che l’Italia è diversa dalla Grecia per le piccole e medie imprese e per il risparmio degli italiani; oggi di abbassare le tasse per le imprese e di investimenti in infrastrutture neanche l’ombra, mentre aumentano le tasse sui depositi di titoli. Evitare di finire nel mezzo del ciclone come la Grecia è un bene per cui vale la pena fare sacrifici, ma è impossibile pensare di mantenere questo stato di benessere senza un’idea su cosa si voglia essere da grandi in un mondo che è cambiato.

Sistemare i problemi di oggi e rimandare, in questo caso al 2013-2014, quelli veri non è una soluzione nemmeno dal punto di vista dei mercati, perché quei problemi sono scritti nei report di S&P e Fitch e ci rimarranno con tutte le conseguenze qualsiasi sarà il nuovo costo dei dossier titoli.