Trovare un minimo di razionalità in un mercato che apre a +3% passa a -2% nel giro di un’ora, arriva a -6,4% con le banche sospese (Intesa -13%, Societe Generale a -20%) e poi chiude a -6,65%, esula dalle capacità dello scrivente. Nemmeno nell’autunno del 2008 quando è fallita Lehman Brothers si è assistito a movimenti così violenti; il mercato italiano è sostanzialmente ai minimi di marzo 2009 (il Dow Jones e il Dax per arrivare ai minimi devono perdere ancora il 40%).



Prima c’è stata la crisi dei debiti sovrani che ha fatto il giro completo arrivando a toccare il punto dolente Italia, poi sono arrivati i timori di una nuova recessione. L’altro ieri il presidente della Fed Bernanke ha certificato le preoccupazioni del mercato parlando apertamente di un rallentamento della crescita e di rischi di peggioramento del quadro economico. Quindi riassumendo: stati indebitati, debito americano downgradato, timori di recessione e impossibilità di stimolare ancora l’economia ricorrendo al debito.



I dati macroeconomici e le notizie dei prossimi mesi non dovrebbero mostrare né miglioramenti, né tantomeno segni di inversione; da un punto di vista finanziario decidere di comprare in questo clima di incertezza e senza che si veda alcuna luce in fondo al tunnel è impossibile. Sul mercato ci sono solo venditori obbligati o no. Qualsiasi ragionamento sui fondamentali di un titolo o di uno Stato è fuori luogo, perché i possibili scenari che si potrebbero aprire non hanno precedenti, a partire dal downgrade degli Usa, passando per l’insolvenza degli stati per finire alle ipotesi di rottura di Unioni monetarie.



Chi vuole speculare, se proprio si deve usare questo termine, ha davanti a sé lo scenario ideale tanto più se i cali di borsa aumentano ancora di più le preoccupazioni; non ci sono opposizioni possibili né da parte degli Stati indebitati, né da nuovi elementi o notizie che possano far credere in uno scenario macroeconomico più positivo. Il deterioramento economico significa evidentemente dati macroeconomici in peggioramento come martedì testimoniava il dato sull’export tedesco a giugno calato dell’1,2%. In tutto questo la volatilità è portata agli estremi da strumenti di investimento ormai diffusi anche presso il grande pubblico, tra cui per esempio i normalissimi e per niente esotici Etf.

In questa fase, i soggetti più deboli, economicamente e politicamente, sono ovviamente più vulnerabili; tra questi rientra a pieno titolo l’Italia. Dopo la finanziaria insufficiente approvata qualche settimana con cui si sperava di cavarsela senza troppi problemi, i dubbi del mercato sulla reale volontà dell’Italia di sistemare i conti presentando un piano credibile sono cresciuti determinando un aumento record dello spread tra Btp e Bund. La Bce ha preteso dall’Italia impegni precisi per ridurre il deficit come contropartita per l’acquisto dei titoli di Stato italiani sul mercato.

Le richieste della Bce sull’onda del decennale arrivato a rendere più del 6% sono state evidentemente ascoltate e lo spread Btp-Bund, dopo gli acquisti della Banca centrale europea, si è ridotto sotto i 300 punti base; la Bce pare sia arrivata a dettare al governo italiano in modo sorprendentemente preciso cosa e come fare per rientrare dal debito.

Ieri, complici gli acquisti della Bce, lo spread Btp-Bund è rimasto sostanzialmente invariato; in compenso il mercato italiano ha nuovamente fatto peggio di quello tedesco con le banche italiane vittime di cali a doppia cifra schiantate sotto i livelli di marzo 2009. L’Italia continua a essere colpita più degli altri stati europei.

La riforma delle pensioni è uno dei pochissimi strumenti in grado da subito di ridurre il deficit; con l’incremento dell’aspettativa di vita e l’esigenza di fare sacrifici per ridurre il debito, l’idea di lavorare di più prima di andare in pensione non suonerebbe, tra l’altro, nemmeno malissimo. Ieri una componente determinante della maggioranza, la Lega per voce di Bossi, e il leader dell’opposizione, Bersani, si sono detti contrari a riforme della previdenza. Attualmente non si conosce alcun dettaglio dei nuovi provvedimenti che il governo intende adottare nella riunione di settimana prossima, ma se l’inizio sono le barricate sulla riforma delle pensioni non ci sono molti motivi di ottimismo; né si può pensare di convincere il mercato, i nostri creditori e i nostri partner europei con “liberalizzazioni” che, pur giuste di certo, non hanno impatti stimabili numericamente e temporalmente.

La patrimoniale, oltre a essere odiosa, è smentita dal Presidente del consiglio. Per stimolare la crescita ci vogliono idee e risorse per finanziare investimenti o ridurre le tasse che da qualche parte devono essere pur recuperate. Le alternative spendibili nell’immediato non sono moltissme e sembrano tutte impraticabili. In questa fase drammatica, chi ci guarda dall’estero non deve ricavarne un’impressione esattamente confortante.

La tesi è sempre la stessa: l’Italia sarà in un modo nell’altro obbligata a fare qualcosa di concreto subito; le alternative non sono molte e bisogna decidere cosa tagliare e cambiare per non uccidere qualsiasi possibilità di crescita futura. Ieri Eric Knight, amministratore del fondo Knight Vinke, ha proposto dalle colonne de Il Sole 24 Ore come parte della soluzione dei problemi la cessione da parte dell’Italia del 30% di Eni.

Per chi non lo sapesse, Eni è la principale multinazionale italiana, paga allo Stato dividendi regolari ed è strategica sotto innumerevoli punti di vista tra cui l’approvigionamento di gas (quello che tra l’altro alimenta le centrali e fa funzionare il riscaldamento). La domanda che si pone è fino a quando l’Italia sarà in grado di rifiutare queste richieste. L’altra domanda è cosa altro debba accadere prima che l’Italia si decida a dire al mondo se e come intende ridurre il deficit e magari possa ritornare a crescere.