Non è semplice cercare di descrivere e, dove possibile, spiegare cosa stia succedendo in questi giorni in Borsa e sui mercati finanziari. Fino a settimana scorsa eravamo nell’ambito della crisi dei debiti sovrani: dopo Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna era arrivato il turno dell’Italia con l’aggravante che gli ultimi due paesi, in particolare l’Italia, hanno economie e debiti enormamente più grandi. Un fallimento dell’Italia avrebbe conseguenze devastanti sulla terza economia dell’area euro, su un numero imprecisato di banche europee (soprattutto su quello francesi pesantemente esposte sul debito italiano e in alcuni casi direttamente sull’Italia) e infine con ogni probabilità sull’esistenza stessa dell’euro. Eventi che evidentemente legittimano più di una preoccupazione.
La manovra finanziaria italiana è stata pessima, perché non ha affrontato i problemi strutturali dell’economia e delle finanze italiane, perché ha rimandato nel tempo i benefici sui conti pubblici delle maggiori tasse; tutto questo con un governo zoppo e con un’opposizione che pur di mandare a casa Berlusconi dà l’impressione di essere disposta a tutto. Questa però è storia e spiega quello che è avvenuto fino a lunedì escluso.
Il dibattito in questi giorni non verte più sulla Grecia, sul Portogallo e in un certo senso perfino sull’Italia. Questi problemi sono diventati improvvisamente secondari di fronte alla questione su cui si interrogano gli investitori. Il tema oggi è se siamo alla vigilia di una nuova recessione con la differenza che questa volta i governi non avrebbero più soldi per tamponare i problemi. I dati macroeconomici segnalano un rallentamento dell’economia americana che, tra l’altro, in questi due anni di ripresa, non è riuscita a riportare il mercato del lavoro a livelli sani. Emblematico del rallentamento l’Ism manifatturiero degli stati Uniti arrivato al minimo dalla recessione “finita” due anni fa a 50,9 con il sottoindice sui nuovi ordini sceso sotto 50 a 49,2.
Se questo è lo scenario bisognerebbe chiedersi perché i prezzi dei titoli italiani scontino una situazione di collasso economico (valga per tutti Unicredit a 1,1) e quelli di molti altri paesi europei no oppure perché ieri il mercato italiano stesse facendo decisamente peggio di quello spagnolo. Non è il caso di mostrare uno sciovinismo che appare fuori luogo, però il fatto che, per esempio, l’ownership rate (il tasso di possessori di casa) sia il più alto d’Europa o che mediamente gli italiani siano senza debiti dovrebbe poter rientrare nel conto dei pregi del Paese.
L’unica possibilità è che i mercati stiano scommettendo sul fallimento dell’Italia e/o sulla sua uscita dall’euro in uno scenario di recessione globale. Se questo è lo scenario, e può essere, rimane qualche evidente contraddizione su quello che a questo punto dovrebbe accadere sui mercati al di fuori dell’Italia o per lo meno sulle economie più deboli come la Spagna.
In ogni caso, quello che si sta verificando è molto simile a quanto successo nell’autunno del 2008 dopo il fallimento di Lehman; chi mette ordini di vendita, per qualsiasi ragione, non trova dall’altra parte nessuno diposto ad acquistare, determinando discese radicali dei titoli anche per insufficiente liquidità. Così come avvenuto nel 2008, i mercati finanziari potrebbero stare anticipando quello che nell’economia reale non c’è ancora e che arriverà come conseguenza del rallentamento in atto e perfino come conseguenza dell’impatto che l’andamento stesso dei mercati ha sulla propensione al consumo e agli investimenti.
Le attenzioni oggi si concetrano sul mercato del lavoro americano: oggi alle 14:30 verrà comunicato il dato sul “Nonfarm payroll employment” di luglio. Le attese sono per un incremento di 85 mila posti di lavoro, ma c’è la possibilità concreta che il dato sia inferiore alle attese rafforzando la tesi che la ripresa sia finita e stia arrivando un’altra recessione.
Ritornando all’Italia, quello che è accaduto ieri sul mercato è una conferma della sfiducia che si nutre nei confronti del sistema, con la speculazione che sta colpendo in modo evidente sicura di non trovare alcuna opposizione. Per opposizione non si intendono carri armati schierati ai confini, prediche sulla finanza malata, né tanto meno taragicomiche indagini sulla cessione dei titoli di Stato italiani da parte di Deutsche Bank. In questo contesto, il Parlamento chiuderà i battenti per quattro settimane, mentre il capo dell’opposizione Bersani uccide qualsiasi possibilità di riforma condivisa nel breve chiedendo una “novità politica” come se ci fosse il tempo di formare un altro governo, formare una nuova alleanza e infine decidere un piano di azione.
È la debolezza politica italiana, la mancanza di qualsiasi segnale che faccia pensare a riforme vere che contribuisce a uccidere l’Italia sui mercati giustificando qualsiasi speculazione. Non occorre farsi illusioni: con questi mercati l’Italia sarà costretta a breve a prendere provvidementi, questa volta veri, di qualche tipo. Già si parla di patrimoniale. Se questa fosse l’unica soluzione proposta sarebbe devastante.
I mercati la giudicherebbero per quello che è: un one-off, una una tantum che evidentemente non ha alcuna conseguenza sulla capacità di competere nel medio lungo periodo e che lascerebbe inalterata la valutazione che in questo momento si dà dell’Italia; un Paese incapace di affrontare i propri problemi preda di litigi da assemblea condominiale, bloccato da un amministrazione pubblica elefantiaca e inefficiente, con le imprese costrette a competere con una tassazione elevata, poche infrastrutture e costi energetici poco competitivi.
Se essere a un passo dal baratro e con la pistola alla testa è l’unico modo per prendere le decisioni giuste ben venga la speculazione. Tentare di tamponare qua e là, senza fare i tagli scomodi per sé e per i propri elettori diretti è il modo migliore per avere prima il collasso e poi la spoliazione. Sempre ammesso che tutto questo interessi a qualcuno una cosa è certa: il tempo è scaduto.