I dati sui sussidi di disoccupazione negli Stati Uniti sono peggiorati e sono stati inferiori alle attese, l’indice Fed sull’attività manifatturiera nell’area di New York in calo e peggio delle attese; la borsa italiana ha chiuso al +3,55% con Unicredit al +7% e Intesa a +10%; la Germania ha chiuso al +3,2% e le banche francesi hanno vissuto una giornata di euforia (Bnp Paribas +14%).

Non per fare i pessimisti, ma prima dell’annuncio dell’intervento congiunto di cinque banche centrali per immettere liquidità in dollari che ha fatto “girare” i mercati non c’era molto da festeggiare. I dati macroeconomici mostrano in modo evidente un rallentamento dell’economia che le recenti turbolenze finanziarie possono solo peggiorare; in pratica, non è lecito sperare in improvvise e robuste riprese economiche che possano rendere i problemi delle finanze statali meno inquietanti di quanto lo sono ora.

Il rallentamento economico getta una luce sinistra sulle finanze di diversi paesi sviluppati, tra cui in primis la Grecia. L’unica cosa chiara a questo riguardo è che i soldi che i partner europei hanno speso finora per “salvare” la Grecia non sono serviti a niente e che il Paese si avvia inesorabilmente al fallimento. Tra le cose non chiare, invece, alcuni dettagli di secondaria importanza tra cui, per esempio, quale sia una via d’uscita possibile al caso greco considerato che un’uscita dall’area euro aprirebbe un pericoloso precedente mentre un hair-cut colpirebbe chi ha comprato i titoli (Bce e banche) e sposterebbe immediatamente il problema sugli altri Stati in difficoltà, tra l’altro probabilmente, determinando un problema di equità tra chi continua a pagare l’intero debito e chi se lo vede condonare.

Lasciare il mercato per settimane e poi mesi a rodersi sulla affidabilità di debiti statali paurosi, quello italiano su tutti, e sul destino dell’euro ha avuto sulle borse gli effetti ben noti compresa una volatilità estrema su asset e valori che di norma rappresentano la stabilità per definizione, a testimonianza che non si sa più a cosa credere e che le certezze, per usare un eufemismo, scarseggiano.

Poi i diretti interessati ci mettono del loro e, per esempio, l’Italia, il cui debito ed economia terrorizzano mezzo mondo, non riesce nemmeno in una situazione tragica a varare una riforma di tagli veri riuscendo persino a cancellare una delle pochissime cose sensate in grado di tranquillizzare i mercati come la riforma delle pensioni, legittimando qualsiasi dubbio sulla volontà vera di risolvere i suoi problemi.

Se in questa situazione si assistono alle fiammate di ieri in assenza di: a) proposte serie per risolvere il problema greco; b) accordi per decidere come mettere al riparo gli stati più fragili; c) idee su come evitare una nuova recessione; d) idee di riforma del sistema finanziario che nonostante tutto è lo stesso di tre anni fa, allora c’è qualcosa di strano. Questo “qualcosa di strano” successo ieri è l’intervento coordinato di cinque banche centrali (Fed, Bce, Banca d’Inghilterra, Banca del Giappone e la Banca centrale della Svizzera) per immettere liquidità in dollari in Europa dopo che i timori sulla solidità delle banche europee, per via della crisi dei debiti sovrani, hanno prosciugato la disponibilità a concedere finanziamenti degli investitori americani.

Questa ennesima immissione di liquidità, secondo un prevedibilissimo copione, ha spinto al rialzo le azioni e compresso i titoli di stato. I deboli dati macroeconomici americani comunicati ieri rafforzano invece la convinzione che alla fine Bernanke dovrà annunciare l’agognato, almeno dal mercato, Quantitative easing 3; per cui in un certo senso tanto peggio, inteso come dati economici, tanto meglio, perché il Quantitative easing 3 diventa obbligato.

Come noto, lanciarsi in previsioni è un mestiere rischioso già in tempi normali, in questi tempi invece le figuracce colossali sono dietro l’angolo un giorno sì e l’altro pure. In ogni caso, la teoria generale dice che stampando moneta non si crea crescita; non si può sperare di risolvere i problemi veri con colpi di liquidità magica che poi lasciano le cose esattamente, se non peggio, di prima.

Si possono elencare invece alcune possibili notizie positive cui bisognerebbe stare attenti dato che, forse, potrebbero cambiare veramente le cose, anche sui mercati: una proposta chiara e credibile con cui si dica finalmente come si risolve il problema greco; un qualche tipo di percorso che obblighi gli stati più fragili a risanare i bilanci senza precludere qualsiasi possibilità di crescita e che magari li metta al riparo dalla speculazione per il periodo necessario; nell’autunno del 2008 si parlava di riforma strutturale della finanza, ma non è cambiato niente e non si dice più niente (quello che diceva Volcker, per esempio, non suonava male). Sarebbe un buon inizio, insieme magari a piani di crescita. Tutto il resto, comprese le immissioni di liquidità, è solo noise-rumore di fondo.