Complici il salone dell’auto di Francoforte, qualche novità antipatica sulla chiusura di stabilimenti in Italia e l’ennesima tornata di dichiarazioni di Marchionne, la vicenda Fiat sembrava essere tornata di moda, prima che la crisi finanziaria inghiottisse qualsiasi argomento diverso da spread tra Btp e Bund, Angela Merkel e George Papandreou e deficit americano. Ma Fiat dopotutto e nonostante tutto, vicende Chrysler e spin-off incluse, rimane pur sempre la principale realtà industriale in Italia; un fatto che non sembra propriamente il caso di dimenticare in questo particolare contesto macro-economico. La scommessa facile facile è che nei prossimi mesi si sentirà parlare spesso della creatura di Marchionne e quindi urge un piccolo vademecum per chi si troverà per necessità o per caso ad affrontare il tema



Alfa Romeo – Ufficialmente il gruppo Fiat ha un target di 400mila Alfa Romeo vendute nel 2014; praticamente l’ultimo nuovo modello risale a più di un anno fa e all’orizzonte, proprio come per il resto del gruppo, non si vede nessuna novità. È un fatto conclamato che il marchio abbia enormi possibilità e che queste siano oggi non adegutamente sfruttate, per usare un eufemismo; è altrettanto noto che il gap con le vetture tedesche cui Alfa dovrebbe fare concorrenza sia evidente e che per riempirlo occorrerebbero investimenti ingenti.



L’altro fatto risaputo è che Volkswagen è interessata all’acquisto del marchio e che avrebbe risorse tecnologiche e finanziarie per rilanciarlo. Alfa Romeo in questa situazione serve poco a Fiat e non ha molto senso all’interno del gruppo. L’ipotesi è che a Marchionne pruderebbero non poco le mani in caso di una proposta di acquisto adeguata, ma che i timori della concorrenza del marchio in Italia in mano ai tedeschi e le ripercussioni di immagine e politiche siano un freno alla cessione. Più passa il tempo e più i nuovi modelli vengono posticipati più la cessione diventa ragionevole, immaginiamo con enorme rammarico di Marchionne. La questione rimane quindi aperta e la vera domanda sarebbe cosa convenga ad Alfa e ai suoi operai italiani in questa situazione.



Nuovi modelli e investimenti in Italia – Recentemente l’agenzia di rating Moody’s ha indicato nella mancanza di nuovi modelli una fonte di preoccupazione per le prospettive a medio-lungo termine del gruppo che in questa situazione è per ovvie ragioni destinato a perdere quote di mercato. Il ritardo dei nuovi modelli non sembra poter essere spiegato con la volontà di aspettare la fusione con Chrysler per sviluppare direttamente i modelli congiuntamente, dato che i due gruppi si parlano ormai da due anni e Fiat è già da un pezzo sopra il 50%.

L’idea è sempre che Marchionne non voglia bruciare cassa per nuovi modelli in un momento di incertezza e crisi economica, ma è evidente a tutti che se i competitor continuano a investire questo stallo non possa durare per sempre, pena un’inesorabile diminuzione delle quote di mercato. Una delle ipotesi è che questo stallo sia legato al punto successivo.

Stabilimenti italiani – La questione della presenza in Italia di Fiat è finita al centro del dibatto molte volte negli ultimi mesi. Il destino di Termini Imerese è segnato. Pomigliano e Melfi sono nuovi e con ogni probabilità si salveranno, così come lo stabilimento in Val di Sangro che produce il Ducato. La situazione più spinosa riguarda Mirafiori, che oggi lavora ben al di sotto della propria capacità. L’Italia oggettivamente non offre le migliori condizioni per un’impresa industriale, in termini di tassazione, burocrazia e rapporti con i lavoratori, soprattutto se si considera cosa offra la diretta concorrenza europea.

Se non si vogliono dare alibi a Fiat servono molti cambiamenti, che tra l’altro aiuterebbero imprese di altri settori e dimensioni. La mancanza di nuovi modelli e le conseguenze sui volumi prodotti possono anche essere messi in relazione alla volontà di diminuire la presenza in Italia con appunto alcuni stabilimenti che rimangono evidentemente e inesorabilmente inefficienti (e quindi più “facili” da chiudere).

Iveco – Iveco non ha nulla che non va dal punto di vista dei risultati ecomici; rimane il fatto che è più piccola dei competitor e ha dei problemi di dimensione e diversificazione geografica. Due anni fa si era parlato di un’acquisizione negli Stati Uniti, poi della cessione a Daimler a testimonianza che così com’è Iveco non ha una dimensione adeguata. I risultati, come detto, non impongono nessuna fretta, ma la questione rimane aperta e una cessione non è da escludere.

Ferrari – Ferrari rimane un gioiello sia dal punto di vista dei risultati economici e finanziari che del marchio e del posizionamento industriale. Nessuno si sogna di venderla. Le ipotesi di cessione di una partecipazione di minoranza e, soprattutto, di una quotazione sono più legate alla volontà di far emergere più chiaramente il suo valore finanziario, ora annacquato dentro al gruppo Fiat, o di usare il ricavato per diminuire il debito di Fiat e finanziare investimenti. In tutte e due i casi la maggioranza assoluta rimane in mano a Fiat.

Suzuki/nuovo partner – Dopo l’acquisizione di Chrysler, la presenza geografica di Fiat rimane ancora incompleta. L’Asia e il sud-est asiatico rimangono “scoperti”. Dopo l’acquisizione di Chrysler con l’ingresso nel mercato americano e maggiori volumi la capacità di Fiat di attrarre un nuovo partner è molto aumentata. Suzuki è ai ferri corti con Volkswagen e necessita di un partner; la questione di un terzo partner per l’alleanza Chrysler-Fiat è destinata a rimanere sullo sfondo, anche se allo stato attuale non sembrano all’orizzonte novità particolari e le discussioni sono probabilmente a una fase più che preliminare.

Chrysler – Tra tutti gli elementi di incertezza, Chysler rimane un punto fermo. In poco tempo Fiat raggiungerà il 58,5% della società, incrementando di un altro 5% la propria quota. Il nuovo gruppo è già in grado di sfruttare tutte le sinergie industriali, mentre per avere una tesoreria condivisa occorrerà aspettare il raggiungimento dell’80%. Se i mercati non dovessero rimbalzare per Fiat rimarrebbe aperta la possibilità di incrementare ulteriormente la propria quota a prezzi di saldo (in teoria può salire al 100%).

Chrysler è efficiente e genera un reddito operativo che Fiat al momento si può solo sognare; il mercato americano dell’auto dovrebbe crescere nel 2012 e le prospettive di medio-lungo termine degli Stati Uniti sembrano ancora molto buone. Tornando al primo punto, è molto più probabile la cessione di Alfa piuttosto che cambiamenti con Chrysler.