La notizia più importante di ieri non è il 2% guadagnato dal mercato italiano, né le performance lusinghiere dei titoli bancari italiani (Unicredit in testa con +13,5%) che pure finiranno inevitabilmente tra i dati di borsa meritevoli di analisi. La notizia di ieri è il primo calo dello spread minimamente significativo delle ultime settimane; per l’esattezza l’ormai mitologico indice è calato di circa 40 punti a 482, dopo che negli scorsi giorni era arrivato a sfiorare quota 540. Due fatti hanno portato un po’ di ottimismo sui titoli di stato italiani: il primo è l’esito dell’asta dei bond statali spagnoli con rendimenti in calo, il secondo è il risultato dell’asta dei Bot nostrani con rendimenti dimezzati rispetto a quelli di fine dicembre. Per comprendere la situazione e non farsi condizionare dalla singola giornata di borsa si devono per forza fare un po’ di premesse.



La situazione è questa: in uno scenario di indebolimento economico e di incertezza politica a livello europeo, gli Stati italiano e spagnolo, ma il vero focus è sul debito italiano, dovranno da qui a marzo andare sul mercato più o meno ogni dieci giorni per emettere miliardi di euro alla volta di bond. La situazione di partenza è quella di fine anno con uno spread che, come fatto notare ieri da Fitch, sarà pure teoricamente sostenibile dallo Stato italiano per due anni, ma solo a patto di provocare conseguenze gravi sull’economia reale.



In questo scenario “poco simpatico” un incidente di percorso avrebbe conseguenze imponderabili; per incidente di percorso si intende un’asta non coperta o a spread impazziti oppure il fallimento di qualche importante banca europea. Per l’incidente del primo tipo basta guardare al calendario e all’ammontare delle aste italiane per capire che fino a marzo non si potrà stare tranquilli, per quelli del secondo tipo basta osservare il nervosismo, per usare un eufemismo, con cui è stato vissuto l’aumento di capitale di Unicredit o con cui nelle scorse settimane si è guardato alle banche francesi e ai loro finanziamenti in dollari. Questo è il motivo per cui a inizio settimana si è assistito a una serie di vicende solo apparentemente molto singolari.



La settimana si è aperta con titoli statali tedeschi e inglesi emessi con un rendimento negativo e con un mini crollo dell’euro scivolato in poche ore sotto 1,27. Concentriamoci sul rendimento dei titoli dei nostri più diretti vicini. L’idea è che investitori istituzionali abbiano impiegato il proprio denaro senza ottenere alcun guadagno, anzi regalando dei soldi ai due Stati di cui sopra pur di essere sicuri di rivederli tra sei mesi. Se questo è il livello di incertezza e di paura sui mercati, o quanto meno di certi investitori, offrire il 7% piuttosto che l’8% o il 9% sui titoli decennali diventa ininfluente.

Ottenere il 7% vivendo poi col dubbio di non vedersi alla fine restituiti i soldi prestati, o di vederseli restituiti in lire, non è un’ipotesi allettante, soprattutto se ci sono alternative (i Bund tedeschi) che permettono di passare il periodo turbolento che si apre indenni per poi eventualmente impiegare la liquidità una volta che le prospettive della finanza e dell’economia saranno un minimo più chiare. Questo rimane il quadro generale su cui si devono fare alcune precisazioni.

Il successo dell’asta dei Bot di ieri è strettamente correlata ai finanziamenti triennali concessi alle banche dalla Bce un mese fa. Su scadenze inferiori ai tre anni i rischi per le banche che hanno avuto accesso a questa liquidità sono nulli e i rendimenti certi. Questi ultimi sono rappresentati dalla differenza tra il costo della liquidità ottenuta dalla Bce (1%) e il rendimento dei titoli acquistati. Oggi l’asta dei Btp a dieci anni e poi quelle in programma nelle prossime settimane daranno maggiori indicazioni sullo stato di fiducia degli investitori nei confronti dell’Italia e sulle sue prospettive finanziarie.

L’ultima precisazione riguarda lo stato dell’arte dei mercati finanziari e di quello italiano in particolare. Le quotazioni attuali, soprattutto quelle dei titoli finanziari, e il livello dello spread scontano già uno scenario molto negativo per l’economia italiana, ma, allo stesso tempo, non riflettono ancora pienamente tutti gli effetti che una recessione grave o una possibile, seppur improbabile, uscita dall’euro potrebbero avere. In altre parole, questi livelli sono un’eccezionale opportunità di acquisto se le “cose si dovessero sistemare” o un’ulteriore e considerevole fonte di perdita se gli scenari più foschi si dovessero manifestare. Questo spiega la volatilità, il nervosismo e l’avversione al rischio che contraddistinguono i mercati e che presumibilmente non finiranno fino a che non ci sarà una ragionevole certezza sul destino dell’euro e sui costi che l’Italia dovrà pagare per rimanerci.

Se non altro la giornata di ieri ha dimostrato che c’è ancora un minimo di vitalità sul mercato e che le visite di Monti in Germania non rimangono senza effetti; oggi avremo un’importante controprova con l’asta dei Btp. Per lo scampato pericolo ripassare tra tre mesi.