Molti si saranno persi per strada la notizia tra un aggiornamento sull’evoluzione dello spread e uno sulla performance della borsa che in questi giorni cambia di segno in continuazione. Durante la visita a Londra, il Presidente del consiglio, Mario Monti, ha incontrato a porte chiuse cento investitori al London stock exchange per spiegare le misure per la crescita che l’Italia intende attuare per far ripartire l’economia. La notizia, infilata tra le mille di giornata che negli ultimi mesi intasano gli schermi, non è passata inosservata tra i lettori più attenti; per l’esattezza non è passato inosservato il termine “a porte chiuse”.
Un appunto si è subito fatto strada: cosa deve dire Monti agli investitori della City in privato che non può dire in pubblico? Oppure che esigenza c’è di tenere le porte chiuse quando ministri europei convocano e sconvocano conferenze pubbliche da sei mesi? Quali sono queste misure per la crescita o queste rassicurazioni sull’economia italiana?
Pare che il Presidente del consiglio, nel corso della riunione, abbia posto l’attenzione in particolare sulle liberalizzazioni e sulla volontà del governo di perseguirle nonostante l’opposizione della politica e della “casta” o delle varie “corporazioni”. Il Financial Times di giovedì, nella mitica lex column, ha commentato la giornata di Monti a Londra con un inequivocabile “good news from Rome”, osservando che dopo l’arrivo del nuovo primo ministro la riforma delle pensioni è realtà, mentre il governo ha cominciatio ad affrontare le rigidità dell’economia.
Sarà una coincidenza, ma giovedì il mercato italiano ha chiuso con un +2% con le banche italiane in grandissimo spolvero. Sarà anche che pecchiamo di troppa malafede, ma questi atti di fiducia così immediati e disinteressati lasciano almeno un po’ perplessi; al momento l’unica cosa certa del nuovo corso politico italiano è infatti una montagna di nuove tasse per tutti con le inevitabili conseguenze sui consumi e sulla crescita.
L’ultimo incontro a “porte chiuse” in un periodo di turbolenza finanziario è avvenuto sullo yacht Britannia nel giugno del 1992; allora il tema dell’incontro erano le privatizzazioni in Italia. Quali siano gli effetti delle privatizzazioni lanciate in Italia all’inizio degli anni ’90 sono sotto gli occhi di tutti. Spesso a monopoli statali si sono sostituiti monopoli privati, consentendo di accumulare enormi fortune, mentre il prezzo di alcune cessioni è stato col senno di poi decisamente scontato. Oggi, in un periodo in cui cinesi comprano utility in Portogallo e arabi banche in Italia, certe ventate di ottimismo finanziario lasciano con più di una preoccupazione, soprattutto se vengono da ambienti che non hanno mai dimostrato una particolare sensibilità per “il bene comune”.
Conquistare o meno la simpatia degli investitori è poi un concetto molto pericoloso; per esempio, i tedeschi stanno antipatici a tutti, ma i titoli di stato continuano a essere venduti con rendimenti minimi. I greci invece stavano simpatici a tutti quando consegnavano anno dopo anno Pil in costante aumento, salvo poi scoprire che i conti erano truccati con la complicità di alcune delle principali banche d’affari del pianeta, quelle a cui probabilmente i greci stavano simpatici.
È inutile ribadire che questa fase è abbastanza delicata per lo sviluppo dell’Italia, che nonostante tutto qualche asset di pregio si può ancora trovare da questa parte delle Alpi e che non tutto quello che si può vendere vale la pena di essere venduto. Il fatto che Eni e Enel, per esempio, abbiano emesso debito a un costo inferiore a quello dello Stato italiano dovrebbe far riflettere; così come dovrebbe far riflettere le conseguenze di alcune delle privatizzazioni di maggior successo, come Telecom Italia, controllata italiana di Telefonica, costretta negli anni a liberarsi di quasi tutte le partecipazioni estere.
Il fatto che lo spread o i “mercati” mettano pressione e fretta sull’Italia non è un buon motivo per non pensare attentamente alle conseguenze vere e di lungo periodo di certe decisioni; forse è vero l’esatto opposto.