Nessuno si illudeva che i due rialzi con cui la Borsa aveva inaugurato l’anno nuovo potessero essere il segnale di scampato pericolo per i mercati, ma il netto calo registrato ieri dopo la discesa di mercoledì lascia il segno sia per i modi, sia per la dimensione con cui si è verificato. Milano ha chiuso in calo del 3,65% con le banche schiantate con cali a doppia cifra, tra cui Unicredit giù di un quasi incredibile -17,3%; poi ci sono le solite evidentissime differenze con la borsa tedesca sostanzialmente invariata al -0,25% e quella francese con un calo ben più modesto dell’1,5%. Per capire un po’ meglio la situazione bisogna mettere ordine tra i fatti di giornata e il quadro generale, con i primi che rischiano di far perdere di vista il secondo.



I temi di giornata erano l’asta dei titoli di stato francesi e ungheresi; l’asta dei titoli francesi non sarà stata esaltante, ma si può considerare solida date le premesse e i timori della vigilia, mentre quella dei titoli di stato ungheresi è stata disastrosa sia nella quantità collocata che nei rendimenti. Per capire meglio bisogna però aggiungere altre considerazioni. Si può scegliere tra cominciare dalle cause o dagli effetti, ma sempre per non perdere il quadro generale è forse il caso di iniziare dalle conseguenze. Lo spread Btp-Bund è tornato sopra i 500 punti, il rendimento del Bund è sceso, mentre quello del decennale italiano è salito oltre il 7%, l’euro si è indebolito nei confronti del dollaro, le banche italiane, come detto sono state massacrate, mentre il governo spagnolo in mattinata dichiarava che il sistema bancario dovrà affrontare 50 miliardi di euro di accantonamenti con le prevedibilissime conseguenze sul comparto.



Si può chiamare in italiano avversione al rischio o in inglese flight to quality, ma il concetto non cambia: gli investitori hanno venduto il rischio per comprare “certezza” potremmo dire a qualsiasi costo; per questo il Bund tedesco è meglio del Btp italiano nonostante 500 punti di extra rendimento e il dollaro è meglio dell’euro nonostate quello che potrà fare la Fed da febbraio in caso di un nuovo quantitative easing.

Ieri poi si sono avuti contemporaneamente problemi per Italia e Spagna, i due Paesi “periferici” per eccellenza. Sulla Spagna hanno pesato i commenti del governo sulla salute del sistema bancario, sull’Italia lo sconto che Unicredit ha dovuto offrire per il proprio aumento di capitale da 7,5 miliardi. Su quest’ultimo punto si potrebbero fare una quantità infinita di distinguo per specificare i motivi e le ragioni dell’aumento e dello sconto di Unicredit per inserirlo nell’attuale panorama bancario europeo con Francia e Germania che di certo non se la passano esattamente benissimo, Deutsche Bank in testa; ma non sono questi i tempi per andare per il sottile e quello che è emerso agli occhi del mercato è un aumento di capitale monstre in un Paese con i tassi al 7% e l’economia in recessione.



Il quadro generale è lo stesso di due mesi fa e di sei mesi fa, quando a luglio lo spread contro il Bund ha cominciato a toccare livelli da allarme rosso. L’Europa non è stata in grado di risolvere i propri problemi e di essere credibile nei confronti degli investitori; la questione greca dura ormai da anni e non si vede neanche per sbaglio la luce in fondo al tunnel, mentre più recentemente l’Italia è stata obbligata a fare una manovra recessiva senza che in cambio si ottenesse un singolo punto di spread in meno. Più il mercato “picchia”, più emerge l’incapacità dell’Europa di rispondere adeguatamente nei tempi e nei modi ai problemi. La manovra del nuovo governo “italiano” è forse l’emblema di questa incapacità. Il rallentamento economico è ormai una realtà, ma non c’è ancora una ricetta per tornare a crescere. In questa situazione ha gioco facile, se non facilissimo, chi per qualsivoglia motivo decide di “vendere” o di non comperare l’Italia e l’euro.

Il momento della verità non è ancora arrivato; settimana prossima cominciano le aste “vere” per i titoli italiani e spagnoli, un appuntamento a cui l’Italia si dovrà presentare in condizioni non semplici per diverse settimane nei prossimi mesi. Se si dovesse superare questa fase si guadagnerebbe abbastanza tempo per trovare, sempre ammesso che si voglia, una soluzione europea credibile; se la situazione dovesse sfuggire di mano diventerebbe possibile qualsiasi scenario. La prossima data da segnare in calendario è quella del 9 gennaio con il meeting tra Merkel e Sarkozy a Berlino, con al centro dell’attenzione di nuovo il ruolo della Bce. Qualsiasi sia l’esito è abbastanza facile la scomessa su altre giornate per cuori forti.