Tra le notizie finanziarie di ieri, tra un nuovo piano industriale di Fiat e l’altro, non sarà sfuggito ai cultori della materia che il mitico spread Btp-Bund finito per un po’ nel dimenticatoio sia sceso in un giorno di 25 punti portandosi a un livello, 315 punti, non molto dissimile da quello raggiunto questa primavera dopo il primo Ltro di Draghi; il mercato azionario ha chiuso di nuovo in positivo e titoli di ogni colore e grado, a prescindere dal settore o dalla presenza geografica, hanno messo in cascina un’altra performance positiva.



Immaginiamo che questi dati possano suscitare qualche perplessità in chi si confronta tutti i giorni con lo stato di salute ben poco esaltante dell’economia italiana con, per dire un dato sui mille citabili, il potere di acquisto delle famiglie sceso del 4,1% nel secondo trimestre del 2012 rispetto a un anno prima. Il Pil italiano come noto calerà più di quanto originariamente previsto nel 2012 e il 2013 non pare particolarmente promettente. D’altronde ieri anche il primo ministro Monti ha dichiarato che: “Non bisogna sorprendersi che non si vedano ancora segnali di crescita”.



Bisognerebbe chiedersi, a questo punto, a fronte di quali cambiamenti o miglioramenti economici o di bilancio lo Stato italiano si meriti una riduzione dello spread così pronunciata in poco più di due mesi e poi perchè i mercati finanziari siano o sembrino così esuberanti.

Gli effetti recessivi delle politiche di austerity sono ormai noti e stranoti e a quelli positivi sui saldi di finanza pubblica non ci crede più nessuno da mesi, se non da anni. Su tutta la vicenda “italiana” ci sono tanti angoli di lettura diversi più o meno in grado di spiegare quello a cui si sta assistendo. Il più immediato potrebbe essere una scommessa sulla capacità del governo attuale e di quello prossimo di porre le basi per una crescita dell’economia italiana più forte nel medio-lungo periodo. D’altronde è ancora lo stesso Monti a dire che “tutto quanto fatto dal governo è stato indirizzato alla crescita”; forse non sarà proprio esattamente così visto che a un certo punto è saltata fuori l’idea di tassare le bevande gasate, ma potrebbe essere una possibile spiegazione almeno per quelli che non mettono piede in Italia da sei mesi.



Il problema è che, allora, visto quanto successo sui mercati negli ultimi mesi bisognerebbe concludere che anche il governo spagnolo, quello portoghese e quello greco stanno contemporaneamente impressionando positivamente i mercati a colpi di riforme illuminate e lungimiranti. Ieri per la cronaca lo spread spagnolo scendeva dell’incredibile cifra di 45 punti in un giorno collocandosi alla distanza per niente siderale di 60 punti da quello italiano; solo che il sistema bancario spagnolo è a pezzi, la disoccupazione è più del doppio di quella italiana e c’è anche, pare, giusto un filo di disappunto in Catalogna.

Forse allora il mercato si è convinto che non c’è più nessun pericolo che in qualcuno dei governi di cui sopra, Italia inclusa, si affacci prima o poi qualcuno che decida di abbandonare le politiche di austerity e proponga l’uscita dall’euro. Solo che nemmeno la Grecia, con tutto quello che è successo finora, è uscita dall’euro e quando qualche politico greco l’ha proposto lo Stato ellenico è stato regolarmente bastonato dai mercati e probabilmente indotto a più miti consigli.

La sensazione è che tra gli investitori, diciamo, anglosassoni si sia fatta strada già da molto tempo l’idea che il prossimo sia ancora un governo Monti o, male che vada, un esecutivo che porti avanti l’agenda Monti, ma nessuno si illude che quanto fatto finora abbia migliorato le prospettive di crescita del Paese e le scommesse su quello che accadrà tra sei mesi o su quello che farà il prossimo governo sembrano troppo premature (sicuramente lo sono state sei mesi fa).

La spiegazione più convincente, anche di quello che è successo ieri, sembra invece tutta finanziaria e coincide con quanto fatto dalla Fed e nell’ultimo anno per due volte dalla Bce. Tutte le volte in cui il mercato è arrivato vicino al baratro la Bce è intervenuta e nel mentre la Fed ha continuato a stampare alla grande. Questo ha, per ora, fatto scomparire o fatto abbassare le probabilità che gli scenari catastrofici, rottura dell’euro ed economie da crisi del ’29, potessero manifestarsi e ha fatto guardare con occhi diversi i rendimenti nulli che a un certo punto offrivano, per esempio, i titoli di stato tedeschi e i risk free, veri o supposti, rimasti.

Perdere soldi, anche se pochi, va bene se l’alternativa è rischiare tutto il patrimonio, ma non può essere una strategia vincente nel lungo periodo e quindi a un certo punto i rendimenti del 6% del decennale italiano sono sembrati attraenti a fronte di quelli infimi del Bund. Giusto o sbagliato che sia, lo scenario che molti investitori stanno sposando è quello di trovare approdi obbligati per una liquidità che altrimenti non si sa dove mettere e che rischia di perdere valore in un un contesto di inflazione nemmeno particolarmente pronunciata.

Prendere questa scommessa non ha niente a che vedere con immaginare riprese mirabolanti nel breve-medio periodo o con miglioramenti sostanziali dell’economia e del mercato del lavoro, ma significa “solo” escludere le ipotesi più nefaste. Le conseguenze sono ovviamente positive anche per l’Italia con lo spread che scende e con i relativi effetti positivi, anche se lenti, che si possono manifestare sul mercato del credito e infine sull’economia. Dire però che tutto questo ha a che vedere con la stretta fiscale o con le riforme, peraltro molto discusse, fatte in dieci mesi scarsi sembra davvero troppo.

Non siamo in grado di toglierci la soddisfazione, ma un sondaggio sull’operato del governo fatto tra chi negli ultimi tre giorni ha comprato 10 miliardi di euro di Btp Italia non darebbe risultati di gradimento molto diversi da marzo e giugno, quando di Btp Italia ne sono stati piazzati rispettivamente il 30% e l’80% in meno. O gli italiani sono stupidi oppure si sono stufati dei rendimenti tragici dei conti correnti e dei Bund e si sono convinti, a torto o a ragione, che alla fine l’Italia rimanga nell’euro, Monti o meno. Per una volta sintonia totale sull’asse Italia-Londra-New York.