Nonostante la campagna elettorale americana si avvicini alla conclusione non tutti gli occhi sono puntati sulle polemiche tra Obama e Romney o sull’ultimo dibattito pre-elettorale. Per due giorni consecutivi, con due “bei” articoli per niente difficili da scovare, la voce della City, il Financial Times, è tornata a occuparsi dell’Italia, mettendo il dito nelle due vicende più spinose che attualmente attraversano il Paese.

Martedì è stato il turno di Finmeccanica e della vendita di Ansaldo Energia. L’accusa ben poco velata è che l’Italia abbia scelto di perseguire la via perniciosa del protezionismo. Finmeccanica, con i suoi problemi economici e finanziari, deve rivedere il perimetro delle proprie attività e ha messo in vendita alcune partecipate tra cui il “gioiello” Ansaldo Energia. I tedeschi di Siemens si sono presentati con un assegnone tondo da un miliardo e 300 milioni di euro, mentre il governo italiano preferirebbe che un asset cosi importante rimanesse in casa.

Il Financial Times ammonisce il ritorno al passato andando addirittura a rinvangare l’Iri degli anni ‘70 che investiva secondo decisioni “più dedicate alla politica clientelare che ai profili economici”. Fa niente se con lo smantellamento delle partecipazioni industriali di Stato in fretta e furia l’Italia ha subito un downgrade industriale – ben più grave e irreparabile di quelli finanziari di oggi – drammatico; fa niente se su alcune “privatizzazioni” si può levare qualche critica; fa niente se negli ultimi due anni, come pur è costretto a ricordare il FT, sono partite per altri lidi Bulgari, il secondo produttore elettrico, Edison, e Parmalat e fa niente anche se quando l’Italia ci ha provato in Europa – Suez per dirne una – ha trovato linee Maginot.

Venti anni di storia non troppo felice hanno fatto venire qualche dubbio da questa parte, “arretrata”, delle Alpi; in un mondo in cui la solidarietà economico-finanziaria non è un bene a buon mercato, e ognuno pensa per sé – Inghilterra inclusa che tutela la propria industry di punta opponendosi a qualsiasi riforma finanziaria, giusta o sbagliata che sia, dell’Europa continentale -, le resistenze italiane possono apparire singolari solo agli ingenui, per di più senza alcuna memoria, o a quelli in malafade. Invece, quale sia l’interesse per l’economia italiana oggi è un tema che non appassiona e, infatti, della questione non c’è praticamente traccia nell’articolo di cui sopra.

Ma non sono solo questioni cosi “materiali” a interessare i lettori della City, perché in Italia “l’incertezza politica si aggiunge al senso di disperazione economica” e quindi ieri trovava spazio una riflessione a tutta pagina sul destino politico italiano di breve periodo. La questione che secondo il FT sta interrogando l’élite politica italiana è se Monti rimarrà Primo ministro se dalle prossime elezioni non dovesse emergere una vittoria chiara o se invece il Parlamento lo sceglierà come Presidente della Repubblica. Ma un altro scenario si starebbe materializzando: Monti Ministro delle finanze e degli affari comunitari di un governo di centrosinistra fino al 2014, quando proverà a succedere a Van Rompuy.

Le ragioni di questo ultimo scenario, in cui Monti è Ministro delle finanze e non Presidente del consiglio o Presidente della Repubblica (quale varietà di opzioni…), è, secondo membri del partito democratico che “dovrebbe vincere le elezioni ma senza una maggioranza assoluta”, che i mercati finanziari apprezzerebbero “una garanzia di continuità mentre l’Italia è alle prese con la recessione”. D’altronde l’incertezza politica è acuita dallo scontro tra Bersani e Renzi. In ogni caso nessuno scenario tra quelli presi in considerazione contempla minimamente l’uscita di scena di Monti.

Immaginiamo che in una situazione già abbastanza complicata di suo, con metà Europa in recessione e un altro pezzo importante, quello francese, che comincia a sentirsi non troppo tranquillo, nessuno voglia cose strane nella terza economia dell’area euro e in un Paese con due mila miliardi di euro di debito pubblico; se confrontata con gli altri Piigs, l’Italia finora è stata un paradiso terrestre con un Primo ministro tecnico che piace a Europa e mercati, banche ricapitalizzate sul mercato, zero scioperi e manifestazioni.

La recessione in Europa tanto ci sarà o meno a prescindere dall’Italia, a seconda di quello che deciderà la Germania, e quindi per i mercati molto meglio se l’Italia non contribuisce all’incertezza generale sulle questioni “importanti” con il suo peso affatto trascurabile. Cosa abbia da guadagnare o perdere l’Italia nei vari scenari è un altro di quegli argomenti che non sembrano appassionare i lettori del FT.

A proposito di Europa, sembra quasi che sul vecchio continente i mercati stiano gettando la spugna di fronte alla costanza con cui negli ultimi anni ha deciso di avviarsi verso la recessione; il problema oggi in America è se gli Stati Uniti riusciranno a sganciarsi dai destini economici europei nel 2013. La domanda non è facile, ma qualcuno pensa di sì, anche se il solo fatto che si ponga la questione non è un gran segnale. Come appare evidente, avere un Primo ministro che rispetti i parametri di economia industriale e finanziaria europei è fondamentale.