“Quello che è successo con Parmalat non è stato un buon risultato, da lì hanno portato via tutto e lasciato solo quello che non hanno potuto portare via”. “È un gran peccato che Parmalat sia stata venduta a un concorrente non italiano, l’ideale era che si mettesse assieme a una grande azienda italiana per fare un grande campione internazionale”. “Preferisco se per una buona azienda italiana si trovano investitori italiani e imprese italiane che si vogliono mettere in gioco. È meglio che trasformarle in divisioni di grandi gruppi che non considerano mai l’Italia come loro mercato di riferimento”. Queste sono le dichiarazioni rilasciate da Corrado Passera a proposito della vicenda Parmalat che si è “conclusa”, almeno dal punto di vista strategico-industriale, con l’acquisizione da parte di Lactalis. I fatti degli ultimi mesi e anni sembrano dare ogni ragione al ministro dello Sviluppo, ma a questo punto, sulla vicenda particolare, rimane molto poco da aggiungere oltre alle analisi.
È però impossibile non mettere in relazione queste dichiarazioni con una storia almeno altrettanto importante per il “sistema Paese”, ma decisamente più attuale e su cui il governo italiano ha sicuramente i riflettori accesi. La storia è quella di Finmeccanica che si trova nelle condizioni di dover ridurre il debito dopo un anno, il 2011, concluso con più di due miliardi di euro di perdite. Il “problema” è che il gruppo partecipato al 33% dal ministero dell’Economia controlla alcune imprese industriali che per dimensione, competenze, rilevanza e settore rappresentano un patrimonio di cui è impossibile liberarsi senza porsi almeno qualche domanda.
Le società che Finmeccanica vorrebbe cedere sono in particolare quattro: Ansaldo Breda (50%), Ansaldo STS (40%), Avio (14%) e Ansaldo Energia (55%). Ansaldo Breda non desta particolari entusiasmi, visto le performance economiche non proprio esaltanti; le altre invece a più riprese sono finite nel mirino di gruppi esteri che hanno manifestato offerte tutt’altro che timide sia nei tempi che nei prezzi. Hitachi in particolare ha esaminato il dossier Ansaldo Sts, ma è su Ansaldo Energia che negli ultimi giorni i rumours si sono fatti più circostanziati e insistenti.
Al di là delle vicende societarie di un gruppo che negli ultimi mesi si è trovato al centro di inchieste e di ricambi manageriali importanti, il caso di Ansaldo Energia merita qualche riflessione in più e soprattutto aiuta a capire quale sia la posta in gioco quando si pone il problema dei futuri proprietari di certe aziende. Ansaldo energia è uno dei leader mondiali nella costruzione di centrali termo-elettriche e relative componenti, tra cui in particolare turbine a gas e a vapore. In pratica oggi l’Italia ha in casa tutte le competenze per costruire una centrale elettrica e ha la possibilità di rimanere alla frontiera dello sviluppo e della tecnologia; il settore, inoltre, sembra particolarmente promettente, anche perché nel globo si stanno scoprendo riserve di gas fino a qualche anno fa impensabili.
Il problema che si pone è tutto sommato semplice: il compratore è interessato a un patrimonio non replicabile di competenze e tecnologie per continuare a svilupparlo in loco mantenendo cuore e testa dove sono oppure semplicemente per incorporarlo per alimentare “altre” storie industriali? Storie che presumibilmente hanno legittime strategie e fini che non necessariamente coincidono con gli interessi del sistema economico italiano. Non è un problema da poco per un Paese che voglia coltivare ambizioni da Paese industrializzato sviluppato e che, come nel caso italiano, non sembra avere un peso “politico” abbastanza forte per, eventualmente, piegare e influenzare in modo decisivo le strategie industriali dei gruppi stranieri a differenza, per esempio, di quanto accade appena al di là delle Alpi per non andare sempre ai casi di oltre Oceano.
Al di là del tifo che si può fare per le soluzioni “italiane” a cui da “italiani” è veramente difficile sottrarsi, quello che si può leggere nei rumours è che l’offerta da un miliardo e 300 milioni di euro dei tedeschi di Siemens per il 100% della società sia molto concreta e definita, mentre il Fondo strategico italiano sta, ancora, cercando di mettere in piedi una cordata tricolore. Nel frattempo il gruppo Finmeccanica continua ad aver bisogno di ridurre il proprio debito, il mercato preme per tutelare i propri interessi e il governo che rappresenta il principale azionista del gruppo deve, forse, mantenere un immagine “tecnica” e aperta alle forze buone del mercato.
Fatti gli infiniti distinguo per settore e storia differenti sembra di essere tornati ai giorni in cui si cercava di mettere in piedi una cordata italiana per fronteggiare i francesi di Lactalis, che poi, secondo le parole di un tecnico, ex-banchiere, da pochissimo prestato alla politica “hanno portato via tutto e lasciato solo quello che non hanno potuto portare via”. Oggi per il sistema Italia la situazione è però migliore, perché si gioca in casa e la società, a differenza di Parmalat, ha un socio di maggioranza chiaro e definito: lo Stato italiano.
Per quanto la situazione sia nettamente più favorevole, mantenere Ansaldo energia in mani italiane non è semplice perchè servono tanti soldi e perché il Fondo strategico italiano, nemmeno volendo, può fare da solo. Servono come minimo imprenditori interessati a rischiare in un’impresa che probabilmente per qualche anno dovrà investire tanto (per sviluppare una turbina a gas di nuova generazione), banche disposte a concedere finanziamenti e un Governo deciso nel perseguire il proprio obiettivo e capace di “fare sistema”.
Sembra una sorta di rivoluzione rispetto a quello di cui spesso si legge con lotte per gruppi editoriali e finanziari, nuove idee originali per raccogliere tasse e scelte discutibili nella concessione del credito. Eppure è da occasioni come questa che passa lo sviluppo economico di un Paese. Decisamente un bel test per un Paese ancora sotto esame e per un Primo ministro che potrebbe/dovrebbe “ricandidarsi” tra pochi mesi.