Gli ultimi risultati di Fiat non hanno consegnato un quadro particolarmente diverso rispetto a quanto visto nei trimestri precedenti; Chrysler ha chiuso un altro ottimo trimestre confermandosi il gioiello del gruppo, l’America latina e il Brasile hanno chiuso un buon trimestre – seppur in calo – mentre in Europa il gruppo ha continuato a perdere soldi raddoppiando il rosso di un anno fa. Allora la domanda è: perchè il titolo ieri ha lasciato per strada il 5%? I risultati del terzo trimestre di certo non giustificano questa reazione. Forse la causa prima è la revisione al ribasso dei target per il 2013 e il 2014. Posto che di questi tempi target e stime al 2014 lasciano il tempo che trovano e vengono guardati con molto disincanto data la complessità del quadro macro, le stime degli analisti, seppure di poco più alte, non si discostavano drammaticamente dai nuovi target di Fiat. Forse allora sono le tetre previsioni per il mercato europeo ribadite, se mai ce ne fosse stato bisogno, ancora ieri, ma anche in questo caso le attese dei mercati non erano esattamente improntate all’ottimismo più sfrenato. Quindi? Cosa ha spaventato i mercati al punto da bastonare il titolo Fiat in una giornata in cui la borsa di Milano ha chiuso con un niente affatto malvagio +1%?
La spiegazione al di là dei numeri si può trovare con ogni probabilità a pagina 9 della presentazione diffusa ieri dal titolo (tradotto dall’immancabile inglese): “la view del gruppo sul mercato europeo e le implicazioni sui suoi piani di sviluppo per il futuro”. In particolare nella slide in questione il gruppo si interroga su come risolvere il dilemma del mercato europeo. Quale sia il dilemma viene illustrato poche pagina prima: un mercato che vede la domanda in calo per il quinto anno consecutivo, con pressione sui prezzi nella fascia bassa e altra in arrivo da Coreani, Giapponesi e Indiani, eccesso di capacità produttiva strutturale con tassi di utilizzo degli impianti inefficienti oltre a totale mancanza di visibilità sui tempi di un’eventuale ripresa. Il dilemma viene esemplificato dal Fiat con due opzioni: la prima è rimanere focalizzati sulla fascia di mercato non-premium razionalizzando la capacità e chiudendo uno o più impianti; la seconda è fare leva sull’eredità di marchi premium riallineando il portafoglio dei prodotti e riposiziando il gruppo per il futuro.
Fiat, e questa è di gran lunga la notizia di ieri, ha scelto la seconda opzione perchè, sempre secondo la voce diretta del gruppo, c’è capacità installata moderna in Europa-Italia, ci sono almeno 3 brand (Alfa, Maserati e Jeep) che sono ritenuti in grado di competere nella fascia alta del mercato, quella con i margini alti, e perchè infine Fiat-Chrysler ha sviluppato piattaforme e motori per entrare nella fascia premium e ha accesso al mercato nordamericano e asiatico. In pratica Fiat sceglie di non chiudere capacità, di puntare sui modelli di fascia alta e di usare gli impianti italiani per esportare all’estero. Se sia tutto oro quello che luccica in questa fase della vicenda è decisamente presto da dirsi ma a quanto pare i mercati ci hanno creduto.
Come noto i costi sono sempre certi e i ricavi incerti tanto più quando si parla di piani industriali; nel caso specifico quello che i mercati hanno visto è un incremento consistente degli investimenti rispetto al precedente piano (quasi due miliardi di euro in più nel 2013 e tre nel 2014), mentre le azioni sui prodotti e gli investimenti sugli impianti italiani richiederanno dai due ai tre anni per l’implementazione. In pratica Fiat pare aver abbandonato la strategia conservativa degli ultimi 3-4 anni per avventurarsi in un progetto difficile, complesso e senza alcuna certezza sul buon esito. Spingere sul segmento premium dove le aspettative dei consumatori sono alte e la concorrenza, soprattutto tedesca, è agguerritissima è sicuramente per i mercati una sorta di salto nel buio lungo più due anni (Fiat fissa la data del break-even per il 2015-2016) a fronte di investimenti ingenti. Una scelta che darebbe di che preoccupare in tempi normali e che oggi appare ancora più rischiosa tanto più se si considera il divario da recuperare nei confronti della concorrenza tedesca.
Se fosse così si potrebbe anche spiegare il singolare silenzio del governo dopo l’ultimo incontro a porte chiuse quando probabilmente si è fatto più che un accenno alle idee sottostanti alla presentazione pubblicata ieri; in sostanza il governo non aveva bisogno né di bleffare né di fare proclami perché aveva già il poker in mano. Il governo in ogni caso viene direttamente chiamato in causa in merito a “azioni per migliorare la competività per le esportazioni” mentre l’accordo con i sindacati che affronta il tema della flessibilità del lavoro ha bisogno di una “adesione piena”. Tra le ragioni di questa svolta si potrebbe anche citare una bara fiscale di qualche miliardo di euro su cui il gruppo può fare leva nel caso di un ritorno alla redditività in Italia, ma questa è materia per analisti. Interessa molto di più probabilmente osservare se veramente e come il gruppo proverà a realizzare la nuova strategia e soprattutto se alla fine ci saranno esiti più o meno riusciti. Nel frattempo è probabile che i mercati saranno poco clementi ma questo non è assolutamente e necessariamente un cattivo segnale. D’altronde, dice Warren Buffet, “Sarei un barbone sulla strada con un barattolo di latta se il mercato fosse sempre efficiente”. Per quanto ci riguarda il -5% di ieri è un segnale incoraggiante anche se il progetto è ambizioso e rischi davvero molto alti.