La svolta di Fiat annunciata martedì pomeriggio non è sicuramente passata inosservata sui mercati che hanno punito il titolo con un -10% in due giorni; il motivo di questo “disamoramento” tra Marchionne e gli investitori si può ricondurre senza troppi dubbi alla svolta strategica che il gruppo sembra aver imboccato con un incremento degli investimenti pauroso, la sfida lanciata ai concorrenti sui marchi premium e l’idea di utilizzare la capacità produttiva inutilizzata in Italia per esportare all’estero.
D’altronde è stato lo stesso Marchionne, ieri, in un’intervista concessa a il Corriere della Sera a definire il nuovo corso una scelta “non per deboli di cuore” mentre ha risposto ai dubbi sollevati sulla reale volontà di perseguire i nuovi obiettivi con un “vedrete” che non aiuta certo a far diminuire le aspettative.
Le perplessità dei mercati però sono diametralmente opposte a quelle del “sistema” Italia, nel senso che i primi hanno bocciato senza appello la nuova strategia che aumenta sensibilmente i rischi insiti nell’investimeno su Fiat, mentre il secondo rimane scettico dopo i proclami sul piano Fabbrica Italia a cui non sono seguite le azioni attese.
Tra i vari passaggi dell’intervista di ieri e del piano presentato martedì uno in particolare merita un surplus di riflessione, tanto più se i dettagli sul piano di investimento scarseggiano perché: “Occorre lavorare in silenzio, a testa bassa, lasciando che a parlare siano i fatti”. Ciò che ha destato più di un sospetto in molti è perchè sia prospettato un incremento degli investimenti così importante se ci sono già le piattaforme, i motori e la rete di concessionari in America. In altre parole la domanda è se saranno davvero necessari quei due miliardi di euro in più di investimenti nel 2013 e tre nel 2014, anche perchè questa sterzata ha un’altra conseguenza poco pubblicizzata ma decisamente importante per il gruppo.
Fiat non sarà in grado di rilevare altre quote di Chrysler dai sindacati americani in tempi brevi e, soprattutto, ritarderà il raggiungimento dell’80% della società americana che le permetterebbe di mettere le mani sulla cassa. È stato lo stesso Marchionne a evidenziare il “piccolo” corollario durante la presentazione del piano di martedì e ad avvisare che a meno di eventi eccezionali Fiat non sarà in grado di salire ulteriormente in Chrysler a causa degli investimenti del costruttore italiano.
Il sacrificio per il gruppo, in pratica, sarebbe almeno doppio rispetto a quanto è stato evidenziato in questi giorni. Da una parte c’è la scelta di investire massicciamente in Europa con i relativi rischi, dall’altra si rinvia l’acquisto di quella che è oltre ogni evidenza la parte più pregiata del gruppo. Considerato che gli esiti di questi investimenti non sono per niente assicurati e che i concorrenti non staranno di certo a guardare c’è davvero di che preoccuparsi.
Una delle spiegazioni possibili è che questo cambio di rotta possa essere utile nelle trattative con il Veba (il fondo gestito dal sindacato dell’auto Uaw) sul prezzo che Fiat dovrà pagare per acquistare altre quote di Chrysler. Fino a qualche giorno fa Fiat era un gruppo oculatissimo negli investimenti in Europa ed esplicitamente soddisfatto dell’andamento di Chrysler e del mercato americano; qualunque cosa si pensi sulla vicenda l’atteggiamento non era di certo funzionale a strappare migliori condizioni in sede di trattativa. Oggi invece Fiat è un gruppo che si appresta a investimenti ingenti in Europa, che ha altre priorità rispetto agli Stati Uniti e che non ha, nemmeno volendo, soldi per accontentare le richieste dei sindacati americani.
Questi ultimi sono passati direttamente da possessori dell’oggetto del desiderio ad azionisti di una società che ha un solo compratore possibile, che per di più nei prossimi anni avrà molto altro da fare e tanti soldi da spendere in altri progetti. Il potere negoziale si è quantomento riequilibrato sul tavolo delle trattative per Chrysler, tanto più che il prezzo terrà conto anche dei multipli dell’azione Fiat che ha perso fascino e punti percentuali.
È difficile, per usare un eufemismo, che questi dettagli e queste conseguenze indirette siano sfuggite all’amministratore delegato di Fiat. Sostenere che il tutto sia un grande bluff per costringere i sindacati americani ad accettare un prezzo inferiore è decisamente troppo anche per il più grande detrattore di Marchionne, ma pensare che l’ad italo-canadese si sia improvvisamente dimenticato di Chrysler è altrettanto inverosimile. Dato che i dettagli sugli investimenti futuri sono pochi e le cifre molto importanti è difficile eliminare del tutto i sospetti che la mano sia stata calcata un po’ più del necessario sui soldi che bisognerà spendere per i progetti futuri.
Tra i rischi che il gruppo correrà diminuirà quello di pagare più del dovuto o voluto le quote in Chrysler; quanto abbia pesato questo elemento nelle decisioni prese invece sarà chiaro solo con l’effettiva attuazione degli investimenti nei prossimi mesi.