Già lunedì si era capito che i timori per gli impatti devastanti sui mercati delle dimissioni di Monti erano stati un po’ esagerati. Il mercato nel giorno da quasi tutti, nel nostro Paese, prospettato come la fine del mondo finanziaria dell’Italia aveva chiuso con un -2,2%, dimezzando di fatto in chiusura le perdite di giornata, mentre il mitico spread era salito alla fine di una trentina di punti. Dato quanto visto sui mercati negli ultimi anni e mesi in termini di variazioni giornaliere si poteva già concludere in serata che dei disastri prospettati si era visto veramente poco, anche perchè il mercato americano, chiuso in corrispondenza dei minimi di giornata, era andato avanti per la propria strada e sulla via “euro-dollaro”, storico sensore dell’instabilità europea, si registrava quasi calma piatta.
La chiusura di ieri, + 1,5% il mercato italiano e restringimento di dodici punti dello spread Btp-Bund, riduce il mezzo spavento di lunedì a un’innocua variazione con il cambio euro-dollaro ed euro-franco svizzero a suggellare l’indifferenza dei mercati per le dimissioni che avrebbero dovuto destabilizzare il mondo civilizzato e ridurre l’Italia a una landa desolata di disperazione e lamento.
Prima di esaminare un paio di altri punti interessanti bisognerebbe almeno puntualizzare che se il metro scelto per valutare l’operato di un presidente del consiglio è lo spread, nonostante qualsiasi evidenza dimostri la relazione tra Bce e rendimento dei Btp, allora il criterio deve continuare a valere. Se da venerdì al giorno delle elezioni in un qualsiasi momento lo spread andasse per esempio a 200, allora il merito sarebbe da ascrivere alle dimissioni di Monti, soprattutto dopo le conseguenze prospettate per questo lunedì.
Ma la cosa più incredibile che sta accadendo è quello che si continua a leggere sul Financial Times. Anche ieri nella mitica lex column trovava spazio uno stupefacente articolo dal titolo “Not so super Mario”, in cui sostanzialmente si demoliva l’operato del premier degli ultimi dodici mesi, snocciolando tra l’altro le cifre drammatiche dell’economia italiana del 2012. Tra le varie cose si poteva leggere l’affermazione per cui Monti “ha fatto molto per l’eurozona ma non abbastanza per l’Italia” e che la questione ultima è la mancanza di riforme strutturali in Italia cui nemmeno il professore ha posto rimedio, il tutto condito da un “Berlusconi non è il vero problema dell’Italia”, ma semmai il simbolo della sua politica marcia e del fatto che l’Italia sia completamente ferma. Sono decisamente finiti i tempi in cui si pendeva dalle labbra dell’Economist e del Financial Times quando sparavano a palle incatenate contro l’Italia, perché altrimenti sulla stragrande maggioranza dei quotidiani italiani dovremmo leggere cose diametralmente opposte a quelle scritte.
Ma non è finita; un articolo a firma Olli Rehn (commissario europeo per gli Affari economici e monetari) sosteneva, grassettato ed evidenziato dal quotidiano di cui sopra, che: “Se la crescita peggiora, un Paese potrebbe ricevere più tempo per correggere il deficit”. Nell’articolo tra l’altro si citava il caso tedesco, scrivendo che la preoccupazione, di chi vuole l’austerity, per il fatto che la Germania avrà un significativo stimolo fiscale nel 2013 è vuota; è lo stesso Rehn a far notare che la Germania avrà nel 2013 una politica fiscale molto meno restrittiva del resto dell’eurozona.
Perché Monti finisce sul banco degli imputati? Primo, perché non si è opposto all’austerity tedesca condannando alla recessione la terza economia dell’area euro e facendole imboccare la via del suicidio economico. Poi perché non ha fatto le riforme economiche che ci si attendeva. Il corollario è che in questa crisi finora ci ha guadagnato solo la Germania e fino a poco fa anche la Francia.
Questo vale per il passato, poi ovviamente c’è il futuro. È chiaro oggi che l’austerity ha ridotto in pezzi l’economia di buona parte dell’Europa e che la ricetta è devastante a prescindere dal fatto che sia stata imposta in buona o cattiva fede (e sinceramente nel caso italiano la cattiva fede è davvero difficile da non rilevare, soprattutto se viene dal principale concorrente). È chiaro non a noi, ma sempre di più ai “mercati”. È chiaro anche che nessun governo, nemmeno quello col presidente del consiglio più illuminato, può trovare una via per la crescita in un contesto di austerity e costi del debito pubblico impazziti. Il presupposto per tornare a crescere è un periodo di grazia finanziaria per l’Europa sia in termine di “spread” che di politiche fiscali; la colpa di Monti in questo senso agli occhi dei mercati è di non aver saputo e voluto contrastare la ricetta della Merkel. Se questo è il tenore dei commenti sulla “gazzetta dei mercati finanziari” si può ipotizzare che le pressioni per un cambio di rotta possano alla fine riuscire nel loro intento.
Poi si apre il problema di cosa fare quando il periodo di grazia inizierà, diversamente è inutile porsi questioni inutili. Le tasse sulle imprese, una legislazione sul lavoro obsoleta, una burocrazia inefficiente ed elefantiaca, complicazioni burocratiche e legislative a non finire, riforme scolastiche e dell’universita varie sono tutte questioni sul tavolo e di cui si sente parlare pochissimo anche da parte dei candidati premier, che pure se interrogati darebbero risposte probabilmente interessanti, e in certi casi probabilmente anche preoccupanti, e meno scontate di quanto si possa ipotizzare. Ma il dibattito langue, mentre ancora si dibatte sugli impatti che le dimissioni avranno sullo spread e la credibilità internazionale.
I mercati invece sono già sul pezzo, proiettati a quello che accadrà. Speriamo almeno, in questo caso, di recuperare in tempo (per abbandonare subito dopo come decisamente opportuno) quel malsano provincialismo per cui tutto quello che veniva scritto al di là delle Alpi era oro colato.