Mentre scriviamo Fiat perde in borsa il 3% (dopo essere andata in asta di volatilità) con un listino sostanzialmente invariato. Il mistero non è particolarmente difficile da svelare; stamattina Il Messaggero ha scritto che Fiat starebbe considerando un aumento di capitale per finanziare l’acquisto delle quote rimanenti in Chrysler; Fiat ha prima deciso di non commentare le indiscrezioni, poi ha emesso un comunicato stampa per precisare che “non esiste alcun progetto al riguardo e che non ritiene ci sia la necessità di ricorrere a un aumento di capitale”. Diciamo subito, prima di qualsiasi argomentazione, che il rumour è credibile e che il mercato, evidentemente, ci sta credendo.



Con Fiat eravamo rimasti alla presentazione del piano industriale di fine ottobre, quello, per la cronaca, che segnava la svolta industriale di Fiat in Europa con investimenti massicci in nuovi modelli e la scelta di competere sulla fascia alta del mercato. Il mercato ha da allora bastonato senza pietà il titolo Fiat sul timore che la società mettesse da parte l’obiettivo di conquista di Chrysler per concentrasi su un mercato, quello europeo, che sembra offrire opportunità molto meno interessanti di quello americano. La scelta risultava pessima per gli investitori che, sostanzialmente, vedevano la società puntare con forza su un mercato che consegna ancora oggi risultati terrificanti in termini di auto vendute.



I maligni avevano avanzato un paio di “retro-pensieri”: il primo era se veramente tutti gli investimenti prospettati fossero necessari, tanto più dato che Fiat stessa dichiarava di avere già piattaforme e motori; poi se davvero l’incremento riguardava l’Europa e non invece il Brasile e gli Stati Uniti e, last but not least, se per caso lo spavento che si faceva prendere al mercato non fosse in realtà funzionale alle trattative con Veba per l’acquisizione delle quote rimanenti di Chrysler.

Il piano presentato due mesi fa ha avuto finora una conseguenza certa e sicura, quella di far crollare le quotazioni di Fiat. Il fatto che il prezzo di acquisto di Chrysler sia parametrato alle quotazioni di Fiat è difficilmente una casualità. Fiat ha esercitato l’opzione per l’acquisto di un ulteriore 3,3% di Chysler (per salire al 61,8%) il 3 luglio del 2012. Nessuno contesta a Fiat questo diritto, ma sul prezzo dell’acquisto le discussioni con Veba non stanno filando lisce e non è stato trovato un accordo.



A decidere il prezzo ci penserà a breve una corte giudiziaria del Delaware, il cui responso peserà anche sugli altri 3,3% comprabili da Fiat ogni sei mesi fino al 2016. Il prezzo è basato anche sui multipli a cui tratta Fiat. Più il titolo Fiat è basso meno potrebbero costare al Lingotto le quote di Chrysler. E il costruttore Usa continua a essere l’oggetto interessante che si sapeva con le prospettive del mercato auto americano intatte e con i suoi 12 miliardi di euro di cassa lorda.

E qua arriviamo alle voci di aumento di capitale odierne e alla reazione del mercato che sembra crederci eccome. Primo, a Fiat servono tanti soldi per salire al 100%; poi, anche con una quota del 100%, Fiat potrebbe non avere accesso alla cassa di Chrysler per via di alcuni covenant (vincoli) con i creditori della casa americana. Con l’aumento di capitale da 1-2 miliardi di euro di cui si parla oggi Fiat avrebbe i soldi per l’acquisto e potrebbe sedersi al tavolo con i creditori di Chrysler per cambiare i covenant esistenti e avere accesso alla sua cassa.

Se questo è lo scenario, poco sembra essere cambiato rispetto al primo acquisto di Fiat in Chrysler che è sempre rimasta la priorità numero uno per il gruppo anche quando si presentava il nuovo piano di rilancio per l’Europa e le attività italiane. Con l’eventuale aumento di capitale sarà inevitabile una spiegazione al mercato sull’uso che si farà delle nuove risorse che si chiedono a investitori e azionisti.

A quel punto il mistero verrà svelato, anche se è davvero difficile mettere in conto colpi di scena o rivoluzioni in Europa; anche perché chiedere i soldi al mercato per investire in Europa se non addirittura in Italia, di cui tutti leggono le ultime performance economiche, sembra un po’ più difficile da spiegare che chiedere soldi per l’America col suo mercato auto in crescita a doppia cifra.