In occasione della visita del premier Mario Monti allo stabilimento di Melfi, l’ad di Fiat, Sergio Marchionne, è di nuovo tornato sul tema degli investimenti del gruppo che guida in Italia. In particolare, ha ribadito l’intenzione di fare degli stabilimenti nel nostro Paese la base di produzione per le esportazioni in tutto il mondo e ha annunciato oltre un miliardo di euro di investimenti a Melfi, per realizzare la 500Xe un utility vehicle a marchio Jeep.
Le dichiarazioni si possono tranquillamente collocare nel contesto delle nuove linee guida del gruppo delineate in occasione del piano industriale presentato a fine ottobre. Nel piano si annunciava il cambio di strategia con il nuovo focus sul segmento delle auto premium e l’intenzione di saturare la capacità produttiva in Italia anche per le esportazioni di vetture “premium” in Europa e oltreoceano. La conseguenza numerica di questa nuova strategia era la colossale cifra di 24,5 miliardi di euro di investimenti nel periodo 2012-2014 per il gruppo Fiat-Chrysler.
Su queste colonne si è già discusso delle conseguenze borsistiche del nuovo piano e soprattutto dei suoi impatti sull’incremento della partecipazione di Fiat in Chrysler nei prossimi anni. Di fronte alle dichiarazioni di ieri non si può però evitare di indagare sulle reali intenzioni del gruppo, sull’effettiva volontà di mantenere le promesse ed eventualmente sul disegno più generale in cui si inseriscono. Con ogni probabilità, agli impegni di Marchionne di ieri seguiranno fatti simili se non molto simili, ma quando si guarda con attenzione ai numeri del piano di ottobre si scopre che l’incremento degli investimenti del 20% rispetto al piano del 2010 riguarda molto più Chrysler che Fiat.
Il grosso dell’incremento degli investimenti nel 2012 riguarda infatti Chrysler anche perché la controllata americana ha in programma il lancio di 66 nuovi modelli o restyling nei prossimi due anni contro i 51 di Fiat nei prossimi quattro anni in Europa. Il diverso peso è tra l’altro logico e sensato da un punto di vista finanziario dato che Chrysler, con i flussi di cassa del ricco mercato americano, ha tutti gli strumenti per impegnarsi in un rinnovamento dell’offerta, mentre Fiat sconta il drammatico andamento del mercato europeo che ha già mietuto la vittima Peugeot.
La maggior parte dei nuovi modelli destinati al mercato europeo saranno basati su piattaforme e motori condivisi con Chrysler, mentre i modelli premium, su tutti Maserati e Alfa, che verranno prodotti in Italia si basano molto di più su piattaforme, motori e modelli riferibili a Chrysler e a quanto da lei sviluppato. Ci sono molti elementi per ritenere che il cuore dell’innovazione e della ricerca del nuovo gruppo, sicuramente sui segmenti premium, si è spostato e si sta sempre più spostando negli Stati Uniti, mentre in Italia rimarrà lo sviluppo dei modelli dei segmenti A e B e la produzione “fisica” per sfruttare un’enorme capacità produttiva ora inutilizzata e, forse, i miliardi di euro di bara fiscale accumulati nel nostro Paese. Dal punto di vista del “sistema Italia” questo spostamento non è meno preoccupante della chiusura di uno stabilimento, perché l’impoverimento di competenze nel lungo periodo potrebbe essere importante.
La conquista di Chryler, la volontà ancora estremamente forte di rilevarne il controllo nel minore tempo possibile al minore prezzo, fa sempre parte del progetto di lungo periodo in cui si è imbarcato Marchionne quando è stato nominato amministratore delegato di Fiat. Il progetto era quello di trasformare un operatore “multiregionale” (Italia, Europa e Brasile) in un’impresa globale con la dimensione minima sufficiente per poter competere nel medio-lungo periodo. La strategia non è mai cambiata e una volta ottenuto il pieno controllo di Chrysler con ogni probabilità si cercherà di aggregare un soggetto in grado di garantire l’esposizione ai mercati asiatici (Suzuki?). È per forza di cose impensabile che il ruolo dell’Italia rimanga lo stesso di quello di partenza.
Il progetto di nuova Fiat globale, seppur incompleto, si sta sempre più definendo e con esso si sta definendo il ruolo che avrà l’Italia. Dalle mosse di queste settimane sembra intravedersi un ruolo finale di fabbrica e, forse, di specializzazione nello sviluppo di modelli di fascia bassa; uno scenario che potrebbe deludere chi si ferma alle “novità” di questi giorni rinunciando, di fronte alle cifre tonde, a qualsiasi domanda.