Fiat oggi pubblicherà i risultati 2011; ovviamente non mancherà la solita dose di dichiarazioni di Marchionne da cui gli investitori cercheranno di trarre qualche indicazione sulle strategie di quella che, tra le altre cose, rimane pur sempre la principale società industriale italiana. A costo di rovinare la sorpresa anticipiamo che, ancora una volta, sarà Chrysler a trainare i conti del gruppo grazie al redivivo mercato americano dell’auto e alle cure di Marchionne che ha potuto modellare la società a proprio piacimento recuperando efficienza e competitività. Il resto è storia nota con l’Italia, e in generale il mercato europeo, che scontano una cronica mancanza di nuovi modelli e un contesto economico non esattamente di crescita, mentre il Brasile continua a rappresentare una fonte di crescita per il gruppo.



Questa situazione non sembra destinata a cambiare nel breve-medio periodo, soprattutto per quanto riguarda il mercato italiano che inevitabilmente sconterà gli effetti di un Pil in contrazione; gli incentivi che il governo potrebbe approvare non guastano, ma a nessuno sfugge che sono una misura di breve respiro che non cambia il quadro del mercato auto. Questo è in estrema sintesi il quadro di riferimento in cui si muoverà Fiat nei prossimi mesi.



Partendo da questi presupposti si può cercare di capire in che direzione si muoverà Marchionne. Innanzitutto, niente fa pensare che la politica sugli investimenti e sui nuovi modelli tenuta finora debba cambiare; se la filosofia è che non si investe sui nuovi modelli in una fase di mercato debole e se il mercato è destinato a rimanere anemico in Italia e in Europa, allora non è lecito attendersi un’inversione di tendenza a questo riguardo. Quanto questa strategia possa essere sostenibile nel medio-lungo periodo è un altro discorso. Non fare nuovi modelli significa perdere quote di mercato nei confronti dei concorrenti, ma farli, e investire somme ingenti, e poi non vendere perchè il mercato non è in grado di assorbirli può portare a conseguenze nefaste. Questo dato di fatto si lega strettamente con alcune considerazioni espresse proprio da Marchionne all’inizio di gennaio.



L’ad di Fiat, in occasione del salone dell’auto di Detroit, ha dato una serie di indicazioni strategiche piuttosto importanti per il futuro della società che guida. Il settore auto necessita di un ulteriore consolidamento che permetta di creare gruppi da 8-10 milioni di auto vendute all’anno; piccolo è bello, secondo Marchionne, non è una buona strategia nel settore auto, specialmente in Europa. Per ottenere questo traguardo di auto prodotte il gruppo Fiat-Chrysler ha bisogno di un altro partner, dato che con l’attuale perimetro sarà già estremamente difficile, se non impossibile, raggiungere il “vecchio” target di 6 milioni di auto all’anno entro il 2014.

Il partner ideale per Fiat dovrebbe a questo punto essere o in Asia o in Europa. Nel primo caso si completerebbe il mix geografico del gruppo, nel secondo si otterebbe un maggiore dimensione in un mercato estremamente competitivo e senza crescita, dove occorre spalmare i costi di ricerca e gli investimenti su un maggiore numero di auto. Che Marchionne faccia sul serio quando dà numeri su dimensioni minime necessarie per competere è fuori discussione dopo l’operazione Chrysler. Se le intenzioni sono serie bisogna “solo” cercare di individuare in anticipo i possibili partner.

Il possibile partner asiatico sarebbe Suzuki con cui Fiat già collabora nei motori diesel; il problema è che Suzuki è una società sana e profittevole e che Marchionne è del tutto allergico alle acquisizioni per cassa. L’operazione Chrysler non sarebbe mai avvenuta se non si fosse trattato di un’acquisizione a costo zero dove l’ad ha comprato dando in cambio tecnologia e le proprie capacità manageriali. Il discorso è molto diverso quando si cerca un possibile partner in Europa; i primi rumours hanno già individuato in Peugeot il possibile partner europeo di Fiat.

Peugeot non ha un forte partner internazionale, è prevalentemente concentrata in Europa e ha una presenza significativa in Russia e in Cina, dove Fiat invece è debole. In aggiunta la società francese negli ultimi anni ha visto più di un cambio di management a testimonianza che forse non ne è stato ancora trovato uno adatto. La società francese non tratterebbe da una posizione di forza come Suzuki e sicuramente troverebbe poco da ridire nei confronti della tesi che in Europa occorre condividere gli sforzi per fronteggiare la concorrenza dei produttori di auto tedeschi.

Il punto critico nel caso dell’ipotesi di Peugeot sarebbe la ristrutturazione che inevitabilmente il nuovo gruppo dovrebbe attuare e le sue conseguenze “politiche”; per ristrutturazione si intende innanzitutto razionalizzazione della base produttiva in Europa che è un modo carino per dire cosa e dove chiudere e cosa e dove mantenere. Anche se è indubbio che Marchionne ancora molto vuole ottenere in termini di maggiore efficienza in Italia è chiaro che il processo di ristrutturazione è già iniziato sia in termini di stabilimenti che di contratti.

Negli Stati Uniti Marchionne ha avuto mano libera con Chrysler, ma nessuno si illude che riceverebbe un atteggiamento simile in Francia. È ragionevole credere che alle giuste condizioni il matrimonio riceverebbe la benedizione dell’ad di Fiat; il punto chiave è quali sono le condizioni, in termini di chiusure e recupero di efficienza, che Marchionne chiederebbe per chiudere l’operazione. Oggi l’Italia è la testa europea di un gruppo internazionale; domani con Peugeot questo ruolo sarebbe in discussione con probabili infinite polemiche e rivendicazioni più o meno legittime.

Se le prospettive economiche non sono brillanti, se Marchionne ha ragione quando dice che è necessario aumentare le dimensioni e se, aggiungiamo noi, è impensabile fare concorrenza a Volkswagen dalla posizione attuale e pensare di sopravvivere, allora il tema di un nuovo partner per Fiat diventa solo una questione di tempo. Anche Peugeot potrebbe arrivare, volente o nolente, alla stessa conclusione. Quello che è certo è che rispetto a Chrysler le operazioni con Suzuki e Peugeot presentano più complicazioni, rispettivamente per il costo e per le implicazioni “politiche”.

L’unica conclusione oggi possibile è che è meglio continuare a seguire attentamente le dichiarazioni di Marchionne e le mosse di Fiat perché diventa ogni giorno più chiaro che Chrysler non era e non è la fine della storia.