Dopo la riduzione dello spread dai massimi di 550 di dicembre ai 320 attuali, l’argomento “titoli di stato italiani” sembra passato un po’ di moda; il nuovo tema è il caro benzina con aggiornamenti quotidiani sui nuovi massimi raggiunti dal prezzo del carburante. Il rialzo è stato così pronunciato che i consumi di benzina nei primi due mesi dell’anno in Italia sono scesi del 10%; simile performance per l’andamento del traffico autostradale in Italia. L’incremento unito a una situazione economica non propriamente brillante sta sostanzialmente cambiando le abitudini dei consumatori. Come noto tasse varie, più o meno recenti, incidono sensibilmente sul prezzo, ma il vero responsabile come facilmente prevedibile è il prezzo del petrolio.

La previsione sul prezzo del petrolio è una componente irrinunciabile di ogni scenario di previsione economica; uno shock petrolifero, per esempio, manderebbe in recessione il globo anche nel 2012 e nonostante qualsiasi possibile perfomance della neo-regina delle società quotate mondiali Apple. La previsione in realtà è quanto di più difficile ci possa essere, dato che il prezzo del petrolio è influenzato da dinamiche economiche, geo-politiche e finanziarie contemporaneamente; Merrill Lynch, per esempio, a inizio dicembre prevedeva un prezzo del petrolio in calo nel 2012, ma i fatti sono andati diversamente. A inizio settimana il ministro del petrolio dell’Arabia Saudita in una rara dichiarazione pubblica ha ammesso di non comprendere perché il prezzo del petrolio stia avendo questo comportamento. In questa fase l’andamento del prezzo del petrolio è una delle principali minacce per la crescita in particolare per le economie e gli Stati più fragili; per orientarsi nei volatili tempi presenti occorre almeno avere presente alcuni degli elementi più importanti.

Le previsioni al ribasso di cui sopra muovevano dal semplice, ragionevole e di buon senso presupposto che uno scenario economico debole avrebbe determinato un calo della domanda di petrolio e conseguentemente un calo dei prezzi. La domanda effettivamente è calata soprattutto nell’ultima parte del 2011 con il rallentamento economico; l’offerta invece è rimasta stabile e non si vedono possibilità di un suo aumento nel breve periodo, anche a causa dell’embargo alle importazioni di petrolio in Europa dall’Iran. Nell’autunno del 2008 i timori di recessione dopo il fallimento di Lehman Brothers avevano dimezzato il prezzo del petrolio. Oggi i timori di rallentamento economico non sembravo avere grossi effetti sul prezzo dell’oro nero, che nel caso del Brent viaggia vicino ai massimi di sempre. I grafici sottostanti si riferiscono rispettivamente all’andamento del Brent e a quello del Wti.

Un ulteriore elemento che nel corso degli ultimi mesi ha supportato le quotazioni è rappresentato dalle tensioni in Medio Oriente e in particolare in Iran. Le notizie sugli sviluppi della crisi con l’Iran sono ovviamente entrate nel radar di investitori e analisti che cominciano a interrogarsi sugli sviluppi futuri. Una delle spiegazioni della differenza di prezzo tra Brent e Wti negli ultimi mesi si può attribuire alle probabilità di nuove tensioni che il mercato comincia a scontare e che influenzerebbero per motivi geografici più l’Europa degli Stati Uniti.

Il terzo elemento che ha determinato il recente rialzo sono le politiche monetarie espansive di Fed e Bce; la liquidità immessa ha reso più appetibili gli asset rischiosi e ha costretto a trovare approdi che preservino il valore degli investimenti dall’inflazione. Un nuovo quantitative easing della Fed è un tema che interessa molto da vicino chi per qualsiasi motivo si interessa alle vicende di petrolio e affini. La correlazione tra rumours e speculazioni sui prossimi interventi della banca centrale americana, dopo quelli della Bce, e l’andamento del prezzo del petrolio è strettissima ed evidente nelle oscillazioni di prezzo giornaliere. Le politiche espansive sono, secondo qualsiasi analisi, uno dei fattori principali del rialzo che si è verificato.

Ieri il prezzo del petrolio ha avuto l’ennesima giornata di rialzo e rimangono poche le previsioni che vedono un calo sensibile delle quotazioni nel breve periodo. Troppi elementi sembrano ostacolare una discesa duratura e sensibile del petrolio. Venerdì scorso le ipotesi di una vendita congiunta da parte di Stati Uniti e Gran Bretagna di parte delle rispettive riserve petrolifere per abbassare i prezzi ha per un breve momento determinato un calo (in un anno di elezioni i prezzi della benziana a 4 dollari al gallone non danno una mano in campagna elettorale); ai rumours poi smentiti fanno da contraltare quelli opposti che vedono la Cina ancora compratore di petrolio per incrementare ulteriormente le proprie riserve strategiche.

Quotazioni in sensibile rialzo acuirebbero la crisi e probabilmente comprometterebbero definitivamente le economie più fragili, causando un successivo brusco calo, ma come ovvio non è uno scenario che ci si augura per ottenere un ribasso del petrolio.