Dopo quasi tre mesi di rialzi ininterrotti e di relativa tranquillità, ieri i mercati hanno tremato chiudendo con una giornata di passione. Il bollettino di guerra è piuttosto ampio: si va dal -3,3% del mercato italiano ai 16 punti di spread persi per strada dalla Spagna. Trovare un responsabile per il crollo di ieri non è un compito facile anche perchè non esiste un’unica causa.

Mercoledì un report di Citigroup sulla Spagna ha paventato la possibilità di un aiuto internazionale entro fine anno per il debito spagnolo; ieri l’asta del decennale italiano si è chiusa senza infamia e senza lode di certo deludendo chi si aspettava miglioramenti in linea con le aste di titoli a breve scadenza che invece avevano beneficiato ampiamente dell’iniezione di liquidità della Bce. Oggi è il turno ancora della Spagna che dovrà presentare il budget per il 2012 con il Paese per strada a scioperare contro i tagli. Il caso sfortunatamente ha voluto che proprio alla vigilia della presentazione del budget Madrid si sia ritrovata al centro dei timori del mercato.

Lo spread tra Italia e Germania dopo un minimo a 280 toccato il 19 marzo è ripreso a salire e ieri è tornato ai livelli di fine febbraio a 340. Si potrebbe continuare all’infinito a citare cause scatenanti, concause e trend in peggioramento, ma il rischio di perdere di vista il quadro generale è fortissimo. Il rischio è così forte che ci sarà perfino chi tra le cause della performance di ieri metterà le discussioni sulla riforma del lavoro in Italia, ma sinceramente ci sembra troppo, in una giornata in cui il petrolio ha perso il 2%, anche per i più sprovveduti o in malafede. Nelle ultime settimane invece l’avvenuto “sorpasso” dell’Italia sulla Spagna, in termini di spread, ha occupato le prime pagine dei principali quotidiani. La storia sembra un po’ diversa.

Il 30 giugno lo spread tra Italia e Germania si aggirava sui 290 punti base, quello tra Spagna e Germania sui 245; oggi siamo rispettivamente a 340 e 360 con un minimo a 550 per l’Italia e uno a 470 per la Spagna. Dati non molto dissimili per due storie così diverse, tanto più che l’Italia nel frattempo ha cambiato un governo in modo traumatico “scegliendo” un tecnico che ha fatto una riforma delle pensioni e una finanziaria da lacrime e sangue mentre è l’unico Paese dell’Europa occidentale con un surplus primario.

Il problema non si riduce a una sorta di guerra tra poveri tra Italia e Spagna oltre ai problemi irrisolti del Portogallo e al caso disperato della Grecia, nonostante gli aiuti; gli Stati Uniti con ogni probabilità dovranno di nuovo rivedere al rialzo il limite al debito statale prima della fine dell’anno in una situazione economica che non è immune da criticità, sia nel sistema finanziario (MF global saltata per aria per un investimento sbagliato sui bond europei) che nell’“economia reale”. Il contesto macroeconomico è ancora carico di criticità e di minacce. È presto per dire che ripercussioni possa avere la giornata di ieri, ma niente impedisce che l’avversione al rischio e il panico possano di nuovo riportare gli spread a livelli di guardia.

Dopo la seconda iniezione di liquidità della Bce, probabilmente irripetibile causa opposizione tedesca ed esaurimento dei collaterali delle banche, dopo la nomina di un governo tecnico, dopo il taglio di pensioni e l’incremento delle tasse che ha spedito in recessione l’Italia è lecito chiedersi quali proposte potrebbero emergere nel caso di un nuovo aumento degli spread. Oltre ai problemi “tecnici” ci sono poi anche gli eventi imprevedibili e imprevisti che i fatti degli ultimi tre anni rendono molto difficile da escludere, tanto più se seguire i manuali o le indicazioni di commissioni e fondi internazionali non dà sempre i risultati sperati. Probabilmente le soluzioni di urgenza non sono ancora finite; mancano all’appello la patrimoniale e le privatizzazioni di quel poco, purtroppo strategico, che è rimasto, ma sinceramente nel contesto attuale solo un’ingenuità incredibile può far ritenere che siano strumenti decisivi.

Se il problema è avere un’economia più forte con imprese in grado di competere alla pari con i concorrenti europei, evitando possibilmente di fare la fine della Grecia, mezzo punto di deficit in più o o in meno non sposta i termini della questione, con imprese massacrate da tasse insostenibili, sia che investano o che non investano, costi dell’energia tra i più alti d’Europa, burocrazia pessima, ecc. In questa fase puntare a rispettare i parametri punto per punto e la lista delle priorità di qualche agenzia o comitato non è una strategia che paga, perché i mercati poi decidono che è il turno della Spagna e anche lo spread dell’Italia risale di 60 punti in meno di due settimane. Dopo undici anni di tentativi Bristish gas ha rinunciato a costruire il rigassificatore in Italia; ovviamente non è colpa del governo attuale, ma né il taglio delle pensioni, né l’incremento dell’Iva, né la modifica dell’articolo 18, sicuramente utilissimi e indispensabili, aiutano a evitare che il caso si ripeta.