Dopo qualche azienda industriale passata di mano (Parmalat e Bulgari), dopo i radicali cambiamenti che il mercato assicurativo italiano si appresta a vivere con l’operazione Fondiaria-Unipol e quelli di cui si parlerà nel mondo bancario con il dibattito sulle popolari e le fondazioni e dopo le ormai quotidiane dichiarazioni sul destino di Fiat, l’unica grande assente è Telecom Italia.

Era il 2007 quando il pacchetto di controllo di Telecom Italia passava di mano con Pirelli che cedeva le azioni detenute da Olimpia a Telco per poco meno di 3 euro ad azione; i rumours per la cronaca davano sia AT&T che America Movil interessate al pacchetto anche a prezzi superiori. Oggi il titolo viaggia abbondamente sotto l’euro complice un ambiente regolamentare ostile, con pressioni dall’Unione europea per ridurre le tariffe, l’esigenza di ridurre il debito che ha imposto il taglio dei dividendi e infine le difficoltà economiche dell’Italia che si riflettono per ovvi motivi anche sul mercato di Telecom Italia.

È facile ipotizzare che gli azionisti di Telco (Telefonica al 46%, Mediobanca e Intesa 11,5% ciascuno e Generali al 30,5%) non siano oggi felicissimi dell’investimento fatto nel 2007. Tra i soci di Telco in realtà solo un soggetto può non rimpiangere l’acquisto fatto: Telefonica che ha impedito che America Movil prendesse il controllo di Tim Brasil e si trovasse in Brasile un concorrente ancora più pericoloso. Per tutti gli altri rimane la dura realtà di Telco con i dividendi percepiti da Telecom che pareggiano gli oneri finanziari della società, oltre alla sensibile minusvalenza sul prezzo pagato.

Settimana scorsa il patto su Telco è stato rinnovato in anticipo fino a febbraio 2015, il debito verrà rifinanziato e tutto potrebbe far pensare che questa situazione possa durare per altri tre anni. L’anomalia però è evidente con un azionista industriale, Telefonica, che controlla poco più del 10% del capitale con un diritto di veto su alcune operazioni straordinarie e i soci “finanziari” che difficilmente possono sostenere che l’investimeno in telecomunicazioni sia “core business”. Il prezzo di carico fa il resto con i potenziali compratori che difficilmente potrebbero arrivare a offrire cifre vicine ai prezzi di carico.

Il quadro si complica ulteriormente con i recenti provvedimenti del governo sulla golden share sui settori strategici, tra cui rientrerebbe anche la rete telecom. Per il resto la storia del settore tlc europeo degli ultimi anni, Telecom Italia non fa eccezione, vede le società messe sotto pressione per ridurre le tariffe e aumentare gli investimenti; decisamente non il massimo per gli azionisti. Se non fosse per i casi dati per morti e sepolti e finiti nell’oblio che negli ultimi anni sono alla fine e improvvisamente saliti agli onori della cronaca, valga per tutti Parmalat, anche Telecom e il suo azionariato potrebbe rischiare di finire nel dimenticatoio fino al 2015.

Peccato che la società sia contendibile, che abbia un azionariato variegato e con interessi diversi, tra cui magari al giusto prezzo quello di monetizzare l’investimento, e che la partecipazione in Brasile faccia gola a molti. Scommettere che la situazione attuale sia “sostenibile” nel medio-lungo periodo non è molto ragionevole. Alla fine nel disinteresse generale, magari quando il debito è sceso, qualcuno arriva e prende tutti in contropiede. 

Per esempio, Vivendi potrebbe decidere di subentrare agli azionisti attuali di Telco, Telefonica inclusa, per fondere il proprio operatore di linea fissa e internet brasiliano Gvt con Tim Brasil. Un buon prezzo rispetto alle depresse quotazioni attuali potrebbe essere un incentivo irresistibile per convincere i soci attuali. Sarebbe anche un’operazione industriale di buon senso e sarebbe il “male minore”. Non è ovviamente l’unica operazione possibile. Dopo la madre di tutte le opa promossa da Colaninno e poi il passaggio a Olimpia non si può escludere l’intervento di operatori che poco hanno a che fare con il settore delle telecomunicazioni e che vedono possibilità di creazione di valore che il mercato magari trascura.

Il termine “male minore” non è casuale; più che protezionismo becero si tratta di assicurarsi che su un asset importante come quello della rete ci sia un azionista disposto a investire e su cui all’occorrenza si possa esercitare efficacemente un po’ di moral suasion. Non è fantascienza come dimostrano, in tutt’altro settore, le parole di Marchionne quando spiega che essere o essere percepiti come esteri in Italia ha alcuni vantaggi in termini di libertà d’azione e magari, nel caso specifico, di disinvestimento. Per un ricambio in Telecom Italia probabilmente i tempi non sono ancora maturi, che non ci saranno mai cambiamenti è un’assunzione decisamente azzardata.