Dopo le ultime settimane di borsa, dopo un inizio di settimana inquietante con il mercato italiano ai minimi, o quasi, degli ultimi 10 anni, lo spread a 450, l’euro dollaro sotto 1,30 e persino il cambio franco svizzero euro (vigilato dalla banca centrale svizzera) sotto pressione ancora ieri, l’unica conclusione possibile è che i mercati si stiano preparando al peggio; dove il peggio è una rottura disordinata dell’euro.
L’evento di giornata è il mancato accordo tra i partiti greci per formare un nuovo governo e la necessità di nuove elezioni, che, si spera, possano porre le condizioni per un nuovo esecutivo. Il problema è che in un contesto di questo tipo, non c’è da stupirsi se i sondaggi e ogni buon senso diano per probabile la vittoria dei partiti che si oppongono ai raccordi raggiunti con l’Europa e che ne richiedono l’annullamento. L’intrasigenza dell’Europa (nei confronti della Grecia), i “risultati” ottenuti negli ultimi due anni, con Atene sull’orlo del baratro economico-finanziario, fanno il resto; nel senso che rimane senza risposta la domanda su cosa altro debba accadere perchè in Europa si cambi strategia.
Senza un cambio di strategia, senza nuovi aiuti, che però sono condizionati al rispetto di parametri e impegni che la Grecia non rispetterà e non prenderà mai, l’unica conclusione possibile, così come la realtà si presenta oggi ai mercati, è che la Grecia esca dall’euro. Sono le conseguenze di questa eventualità a determinare giornate come quella di ieri.
Una certa vulgata vede nell’uscita dall’euro della Grecia, nel suo “fallimento”, una condizione necessaria per una sua riscossa economica; vengono citati a sproposito i casi russi e argentini dimenticandosi però gli effetti devastanti sul ceto medio e il contributo che l’esplosione dei prezzi delle materie prime ha dato alle economie di questi due paesi negli ultimi anni e non replicabili né dalla Grecia, né da altri paesi europei periferici. La realtà è che nessuno riesce a stimare quali siano i costi per la Grecia e per l’Europa di un’uscita dall’euro. Una cosa a questo proposito è certa: i costi derivanti dai debiti dello stato greco nei confronti dell’Europa e degli investitori sono solo una parte di quelli totali, che è impossibile stimare.
I costi per la Grecia sono rappresentati da un sistema bancario che già alla vigilia dell’uscita sarebbe in gravissima sofferenza con le file agli sportelli per ritirare i soldi, eventualità a cui nessuna banca del pianeta potrebbe far fronte; poi ci sarebbero i costi, incalcolabili, sulle imprese che da un giorno con l’altro, nonostante una svalutazione della nuova dracma che potrebbe essere del 70%, si ritroverebbero nel caos con contratti firmati in euro e finanziamenti in euro, con banche nazionali e internazionali.
Fare investimenti in uno scenario di tale incertezza sarebbe impossibile anche per l’imprenditore più capace e ottimista, probabilmente per mesi; dopo tre anni di recessione non si sarebbe ancora visto il peggio. Infine, una nuova moneta svalutata darebbe la possibilità a compratori esteri di acquistare imprese e proprietà a prezzi di saldo. Le conseguenze politiche e sociali probabilmente sarebbero altrettanto preoccupanti.
Ma in fondo non è “nemmeno questo” a spaventare i mercati. Cosa impedirebbe dopo l’uscita della Grecia che il contagio si diffonda a Portogallo, Spagna e Italia? La Bce? La Germania? Se si ammette il precedente che un Paese possa abbandonare l’euro, o esserne espulso, allora la possibilità esiste a determinate condizioni anche per gli altri paesi. Ieri il mercato peggiore d’Europa è stato quello italiano; i mercati stanno già oggi ponendo le basi per un’evoluzione negativa della crisi greca. Non si tratta di lanciarsi in crociate contro la finanza malata, che pure esiste eccome, magari con provvedimenti tragicomici come il divieto di short; tanto più che oggi è chiaro che la responsabilità delle istituzioni europee e dei “governi” è stata ed è decisiva.
Il giorno dopo l’uscita dall’euro della Grecia, magari con i mercati in tumulto e le immagini dei trader disperati sul tg delle otto, ci sarebbe gente in coda agli sportelli anche in Italia, per non parlare di spread, nuove tasse, nuovi decrementi del Pil e amenità varie. Per evitare lo sfascio completo la Bce dovrebbe intervenire massicciamente con provvedimenti senza precedenti per arginare la crisi e mettere al riparo i paesi periferici, Italia e Spagna su tutti.
Il taglio del deficit, del debito, le riforme non si ottengono in tre mesi e i tentativi di trasformare la Grecia nella Germania non hanno dato grandi risultati. Questi scenari sono l’oggetto di studio di decine di report di banche d’affari di ogni ordine, grado e nazionalità di questi giorni. Proseguendo nel ragionamento, l’estensione della crisi a Spagna e Italia avrebbe un effetto drammatico sulle altre economie d’Europa e infine sulla crescita globale.
Se negli ultimi due anni si è arrivati in questa situazione con la Grecia esasperata e mai come prima vicina all’uscita dall’euro, poche speranze si possono nutrire sul fatto che la Germania e l’Europa cambino strategia per salvare l’Italia e la Spagna; anche perchè oggi la Germania ha un costo del debito infimo e, notizia di ieri, una crescita del Pil che batte le stime (0,5% nel primo trimestre contro attese di 0,1%). Per questo i fari sono ancora puntati sulla Grecia e sulle azioni che l’Europa intende prendere al riguardo e per questo i mercati mostrano al di là di ogni dubbio una buona dose di pessimismo.
Due ultime considerazioni: la prima è sulla competizione interna all’Europa, dove, probabilmente, un’Italia messa nelle condizioni di non nuocere a imprese tedesche e francesi non è un peccato troppo grave; la seconda è sul nuovo duo Merkel-Hollande. I proclami su una maggiore attenzione alla crescita a questo punto della crisi sembrano poco più di un’aspirina. O attraverso la Bce si decide di svoltare e si ammorbidiscono le richieste dei piani di rientro dal debito oppure i mercati continueranno a non essere smentiti nelle proprie infauste previsioni, a prescindere da qualsiasi dichiarazione di circostanza possa uscire da summit europei o franco-tedeschi.
Infine, è chiaro che, in questo contesto, per l’Italia, limitarsi al compitino dell’austerity, con atteggiamento remissivo e colpevole, rinunciando a giocare qualsiasi partita in Europa è un po’ poco e non molto lungimirante.