Secondo una ricerca di Reuters, l’Italia nel 2011 è stato il terzo Paese esportatore al mondo di oro riciclato (con 116,5 tonnellate) dopo gli Stati Uniti e la Cina. La ragione di questa performance che balza agli occhi, date le differenze di popolazione con i primi e i secondi classificati, sarebbe l’accoppiata “letale” di peggioramento economico e rialzo dei prezzi dell’oro. Per chi se lo fosse lasciato sfuggire (il grafico a fondo pagina aiuta a rinfrescare la memoria), il prezzo dell’oro era a 250/300 dollari nel 2000, a 700 nel 2007 per arrivare ai 1550 attuali passando per i quasi 1900 di settembre 2011.
Il tema dell’oro e dintorni, soprattutto del suo prezzo, è balzato agli onori della cronaca negli ultimi anni e ormai ovunque, dalla grande città al piccolo paese, si può vedere in Italia un negozio di compro/vendo oro con una diffusione inquietante. La nascita di questo fenomeno non sembra tanto legata a esigenze inderogabili di spesa delle famiglie italiane, nel senso che chi ha venduto la catenina d’oro in media non l’ha fatto per comprare il pane. Probabilmente all’origine del fenomeno “italiano” ci sono tre fattori: l’Italia è un Paese ricco di risparmio e di oro, in cui molti hanno in casa un oggetto di metallo giallo per i più svariati motivi; il prezzo dell’oro salito in misura esponenziale ha trasformato un oggetto, magari dimenticato in fondo al cassetto, in una sorta di mini-vincita alla lotteria, un regalo “inaspettatto” di facile monetizzazione che non sposta gli equilibri finanziari, ma il cui prezzo rappresenta un incentivo sufficiente per vincere la pigrizia e venderlo; l’oro negli ultimi anni, complice una crisi finanziaria di portata secolare, è tornato di moda, come vedremo poi, come bene di investimento con le inevitabili conseguenze sul volume di scambi (e sugli incassi di chi lo intermedia).
Le domande che più incuriosiscono dopo un tale successo “mediatico” sono due. La prima è perché l’oro oggi sia così desiderabile, la seconda è se a fare un affare negli ultimi mesi sia stato chi ha comprato o chi ha venduto. Alla prima domanda in un certo senso non c’è risposta, dato che l’oro, a differenza del petrolio, ha un’utilità “reale” estremamente bassa e diversi investitori ed economisti (nella prima categoria niente meno che Warren Buffet e nella seconda niente meno che Roubini) hanno più volte sostenuto di non riuscire a capire chi investe nell’oro nonostante lo spettacolare rialzo degli ultimi anni; in ogni caso l’uso dell’oro come moneta risale probabilmente alla notte dei tempi e il suo abbandono in favore della carta è relativamente recente nella storia. Ai nostri fini basta dire che l’oro è un bene rifugio che si compra in fasi di elevata incertezza e che protegge dall’inflazione. La liquidità che è stata immessa a tutto spiano dalle banche centrali dalla crisi di Lehman e un clima di incertezza politica ed economica sono sicuramente all’origine del rialzo degli ultimi mesi.
Uno dei temi ecomici attuali è la scarsità di investimenti a zero rischio sul piano globale. Fino a due anni fa comprare un Btp dava certezze incrollabili sulla restituzione dell’investimento, mentre oggi i mercati dicono che l’assunto non è poi così valido. I rendimenti ridicoli dei bond statali americani o tedeschi rendono benissimo la misura di quale sia la domanda di beni sicuri (molto alta) e quale sia l’offerta (molto bassa). Anche comprare bond americani o tedeschi o dollari non garantisce però completamente, perché se i rendimenti nominali sono zero, quelli reali, considerando l’inflazione, sono negativi. I timori di scenari inflattivi o addirittura iperinflattivi possono rendere molto meno attraente l’idea di immobilizzare il capitale in un asset che non si rivaluta con l’inlfazione. Per esemplificare, si può anche decidere di mettere sotto il materasso 1000 dollari, ma se oggi con quei soldi si comprano mille hamburger da mcdonald’s a un dollaro e tra un anno 500 perché l’inflazione è esplosa, in termini reali l’investimento avrebbe una perdita del 50%.
Si potrebbe decidere di ovviare al problema comprando titoli azionari di società che possono scaricare sui consumatori l’aumento dell’inflazione, ma rimangono i rischi di mercato (e il mercato azionario ha offerto fregature a iosa), quelli di controparte (chi assicura che la banca dove si hanno i titoli non fallisca?) o quelli statali con magari improvvisi aumenti di tassazione. Si può capire quindi che l’oro in questo scenario abbia un certo fascino: è in voga da millenni e non passa mai di moda, protegge dall’inflazione, in un contesto normale, e non ha rischi di controparte.
Ci sono però alcune pecche. Da diversi decenni l’oro non è più una moneta che si può usare per esempio per pagare le tasse o fare la spesa, anche se, è notizia di questa settimana, almeno in Svizzera si sta pensando di introdurre una moneta d’oro da 5 franchi. In secondo luogo, ha un prezzo che è cresciuto così tanto da indurre alla cautela l’acquirente. Tutto ha un prezzo (parliamo di beni materiali e finanziari), ma anche il bene migliore o più bello può averne uno troppo elevato. Si apre quindi la questione della seconda domanda di partenza e se cioè oggi convenga comprare o vendere oro. È certo che chi ha comprato due anni fa ha fatto un affare e chi ha venduto anni fa (come la banca d’Inghilterra) si sta mangiando le mani, ma putroppo quello che è successo non risolve il problema delle decisioni che si devono prendere oggi con l’oro pur sempre a 1550 dollari dai 400 di cinque anni fa.
È presumibile che in una strategia di minimizzazione dei rischi oggi abbia ancora senso per molti investitori guardare con attenzione all’oro in un’ottica di diversificazione, ma le oscillazioni giornaliere e settimanali recenti del prezzo sono sconsigliate ai deboli di cuore. Chiunque, per esempio, sia convinto di un’altra maxi iniezione di liquidità della Fed, probabilmente oggi sta comprando oro, così come chi ha paura delle conseguenze economiche e politiche di una rottura dell’euro.
Chi scrive è molto restio a trascendere il ruolo di commentatore (già abbastanza difficile) per abbracciare quello di consulente; di certo, però, non venderà a breve gli esigui beni d’oro posseduti e continuerà a guardare con molta attenzione le quotazioni in attesa di, probabilmente improbabili, discese significative del prezzo che possano offrire punti di entrata un po’ più facili da digerire. Lo scenario cambierebbe se le cose dovessero volgere davvero al peggio, perché in quel caso, con magari nuove iniezioni di liquidità, si potrebbe assistere a un nuovo rally, ma, davvero, la volatilità e i rischi non sono decisamente per deboli di cuore.
Negli scenari di “apocalisse finanziaria” di cui da qualche parte si legge non sembrano trovare posto invece alcune ovvietà, tra cui quella, davvero banale, che l’oro non si mangia.