L’ultima novità della crisi finanziaria è arrivata dalla Spagna col piano di salvataggio da 19 miliardi di euro per Bankia; il governo spagnolo, con l’economia in recessione e uno spread a 510, si farà carico del salvataggio del gruppo bancario nato dalla fusione di sette banche locali spagnole. La vicenda offre diversi spunti di riflessione. Il primo è sull’entità del buco, pari a una volta e mezza il patrimonio della banca, che è risultato totalmente inaspettato anche per chi si era preso la briga di leggere i bilanci e che ha scatenato le vendite su tutto il comparto bancario spagnolo a questo punto guardato con sospetto dal mercato. Sull’origine “immobiliare” del buco ci sono pochi dubbi, ma per quanto grave, profonda e preoccupante sia la crisi del mercato immobiliare spagnolo non si può evitare di constatare che la crisi immobiliare e la bolla siano vicende ormai note e stranote, iniziate e perfino scoppiate diversi anni fa. Allo stesso modo la vicenda greca è iniziata tre anni fa e l’insostenibiltà di debito e deficit greci sono noti da molti mesi.
In ogni caso lunedì il “caso Bankia” ha mandato immediatamente in fibrillazione il comparto bancario e la borsa italiani, allo stesso modo in cui la mancata elezione di un governo in Grecia ha mandato a livelli di guardia lo spread Btp-Bund facendo segnare sulla borsa nostrana e in Europa diverse giornate da panico generalizzato. L’ultimo spettro, in ordine di tempo, che si aggirava e si aggira sui mercati europei riguarda proprio i timori di fallimento di qualche gruppo bancario, magari non di un membro dei Piigs, che potrebbe determinare l’ennesima reazione a catena e forse, questa volta, indurre la Bce a intervenire massicciamente. Interrogarsi sulle conseguenze che i problemi spagnoli possono avere sull’Europa, e in particolare sull’Italia, è un esercizio legittimo e anche utile purchè non faccia dimenticare il quadro generale.
Il quadro generale è che in un’economia debole e in calo, attorniata da un contesto finanziario instabile, volatile e incerto, i rischi si moltiplicano e le possibilità di sorprese positive si riducono. Una banca impegnata a ristrutturare i propri attivi in un contesto stabile e di crescita ha un compito difficile che diventa enorme in un contesto come l’attuale; stesso discorso per uno Stato impegnato a ristrutturare il proprio debito. In un certo senso non solo nessuno si stupisce di “casi Bankia”, ma il mercato applica uno sconto che include un certo grado di possibilità che “improvvisamente” qualcosa di inaspettato e “cattivo” possa accadere. Possiamo dimenticarci della Grecia per qualche settimana o per qualche mese, dopo un’ennesima soluzione temporanea, e accantonare i problemi di alcuni bilanci statali o sistemi bancari, ma l’inerzia in Europa gioca a sfavore e prima o poi emerge un nuovo rischio che alimenta il circolo vizioso in atto.
I problemi nel sistema bancario, le revisioni al rialzo dei deficit e al ribasso del Pil più che uno spiacevole effetto collaterale sono la diretta conseguenza anche dell’assenza di azioni efficaci a livello europeo. Più il tempo passa più la situazione peggiora aprendo nuovi problemi. Sui tavoli degli investitori oggi cominciano ad arrivare ricerche che ipotizzano, tra i diversi possibili scenari, crisi politiche gravi in Europa con conseguenze sui sistemi democratici.
Questa situazione instilla oggi sui mercati due convinzioni. La prima è che prima o poi si arriverà comunque agli scenari più spiacevoli di rottura dell’euro; la seconda è che l’Europa in quanto tale ha una governance inadeguata e fallimentare e che non può, per forza di cose, aspirare a un ruolo di potenza economica in grado di sfidare Cina e Stati Uniti.
Non decidere nulla equivale in realtà a decidere per un esito preciso e al limite si può scegliere, sempre ammesso che non sia un’illusione, di rendere più graduali certi passaggi a tutto vantaggio di chi oggi sul proprio debito paga l’irrealistico e insostenibile costo zero.
Ieri una ricerca di Goldman Sachs cercava di fare il punto su quali scenari e con quali conseguenze siano oggi scontati dai mercati, dettagliando tre possibili evoluzioni. Nel primo scenario il nuovo governo greco opta per rimanere nell’euro ma rifiuta le politiche di austerity; nel frattempo lentamente ci si avvia verso una maggiore integrazione europea per porre la basi per una possibile futura uscita della Grecia dall’euro indolore per il resto dell’Europa (il mercato sconterebbe già questo scenario e ci sarebbe un rialzo moderato delle azioni). Nel secondo scenario la Grecia decide di uscire velocemente dall’euro introducendo una nuova valuta; ciò porterebbe a nuovi ribassi anche in caso di decise azioni europee e a un impatto fortemente negativo sulla crescita europea quantificabile in due punti di Pil. Nel terzo scenario la Grecia viene di fatto esclusa dall’Euro, mentre si preparano azioni per evitare il contagio e l’aumento degli spread. Questo scenario, che avrebbe un impatto negativo sul Pil di un punto, sarebbe già scontato dai mercati e nonostante un’iniziale reazione negativa ci potrebbe essere un forte rally delle azioni (non quelle greche).
Se questa fosse per sommi capi la visione dei mercati, allora si potrebbe concludere che in tutti gli scenari la Grecia è fuori dall’euro e che per evitare conseguenze drammatiche (lo scenario numero 2) sarebbe comunque necessaria un’azione massiccia e senza precedenti della Bce. Su quest’ultimo punto c’è quasi unanimità sui mercati, ma i precedenti non aiutano l’ottimismo. Goldman spesso sbaglia: ci sono quindi due possibilità o la Grecia non esce dall’euro oppure nel primo e nel terzo scenario non tutto fila liscio e la situazione rischia di precipitare. Siccome scherzare col fuoco è pericoloso e certe situazioni sono davvero imprevedibili meglio sperare che le azioni della Bce arrivino il prima possibile.