Con una mossa non del tutto inattesa, il gruppo Fiat Industrial ha proposto un’integrazione alla propria controllata americana, con l’88%, Cnh attiva nel settore delle macchine agricole. Tecnicamente Cnh e Fiat industrial conferiranno le proprie attività a una newco olandese che avrà il “primary listing” sul mercato americano e un “secondary listing” in un mercato europeo non meglio specificato. Le ragioni finanziarie che porteranno alla fusione sono diverse e di buon senso. Cnh, infatti, oggi è un titolo illiquido controllato da una società europea che fa un altro mestiere, mentre essere quotati sul mercato italiano oggi è un innegabile minus in termini di riconoscimento di multipli da parte degli investitori, oltre che “anomalo” data l’assenza di società equiparabili.



Dal punto di vista del “sistema Italia”, invece, questa operazione è l’ultima di una lunga serie di sconfitte che per di più non sembra nemmeno finita. La galassia Agnelli-Elkann-Exor con ogni probabilità partorirà la fusione di Chrysler con Fiat con verosimile spostamento di sede e mercato di quotazione principale negli Stati Uniti. Nello specifico a Marchionne è riuscita l’impresa di prendere una società italiana (la vecchia Fiat) e trasformarla in due società americane con una filiale in Europa; i sindacati e il governo (forse) che oggi bussano alla porta di Torino, domani dovranno prendere un aereo per parlare con una società che deve rispondere alle ragioni di mercato e di creazione di valore di investitori internazionali (facciamo gli auguri più sentiti).



Nel frattempo John Elkann si è lanciato in dichiarazioni importanti del tipo “Exor continuerà a investire in Italia, ma ci deve essere la volontà del Paese”. Posto che l’Italia deve offrire un ambiente competitivo alle imprese e che da questo punto di vista molto deve essere fatto, le azioni di Fiat negli ultimi anni non sembrano andare in questa direzione e se si escludono gli investimenti nella Juventus (cospicui) non rimane molto.

Dal punto di vista generale, invece, si constata un trend molto preoccupante. Prada, che sarebbe l’esempio massimo del lusso italiano, si è quotata a Hong Kong e Versace pare mediti di seguirla; Parmalat, che sarebbe uno degli esempi massimi dell’alimentare italiano, è stata “opata” da una società francese che ha un livello di trasparenza sui propri numeri che molti reputano insufficiente e si è lanciata in un’operazione che, a parte pareri sicuramente disinteressati degli advisor, sembra strapagata (il doppio?) e funzionale solo alle logiche finanziarie di Lactalis. Unicredit e Intesa si sono vendute le quote nel London stock exchange derivanti dalla fusione con borsa italiana.



Chi ancora crede alla perfetta efficienza dei mercati (ma sinceramente siamo ai soldati giapponesi scoperti nelle foreste 20 anni dopo la fine della guerra) può evitare di leggere quanto segue. Quanto segue è che in questo contesto le dichiarazioni di Monti hanno riguardato l’opportunità di sospendere i campionati di calcio. Quanto vale oggi la cassa di Parmalat come opportunità per un’intera filiera? Siamo sicuri che il governo non debba esercitare tutta la propria moral suasion per evitare scippi? E la borsa italiana? Ormai relegata ai margini dei mercati “che contano” (poi non lamentiamoci se i grandi speculatori fanno il buono e il cattivo tempo).

Ducati passata a Volkswagen sembra un caso fortunato, ma come noto la fortuna aiuta gli audaci e rimangono sul tappeto diverse partite, da quella energetica, passando per tv e telecomunicazioni (Telecom Italia risulta ancora controllata dalle banche italiane e da Telefonica: ma per quanto?), toccando i trasporti (Ansaldo Breda, Ansalso Sts, Fincantieri), la difesa (Finmeccanica in tempesta da mesi), finendo per tornare all’inizio a tutto il distretto dell’auto (brand di semi-lusso compresi) con le imprese tedesche che fanno scouting nell’area di Torino. Si lascia al caso? A colpi di fortuna? All’efficienza dei mercati? Alla bontà dei nostri partner europei? Monti se ci sei batti un colpo.

 

P.S.: Oggi leggiamo l’inaudita, incredibile assurda vicenda di una oil company occidentale (Agip kco) che avrebbe oliato (con tangenti) alcuni membri di un governo di un Paese in via di sviluppo (quello Kazako) per assicurarsi lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi del Paese. Secondo la Repubblica, il Pm di Milano ha chiesto di applicare l’interdizione alla controllata di Eni. Se fosse vero sarebbe l’ennesima vicenda scandalosa tutta italiana che dimostra solo l’incredibile livello di corruzione di questo Paese. Proponiamo che il governo si liberi di Eni vendendola al miglior offerente, magari cinese (ma con un nome inglese per carità), che sicuramente certe cose non sa neanche dove stanno di casa.