Ormai le giornate di borsa “normali” sono un ricordo annacquato dei tempi che furono, quando i temi all’ordine del giorno erano un po’ più tranquilli e facili di quelli attuali. La cronaca della giornata di ieri vede il mercato italiano chiudere con un rialzo di oltre il 3% e lo spread scendere di quasi 30 punti a 440; numeri molto simili per la borsa spagnola con la differenza che lo spread, pur diminuito di 27 punti, è a 550. Cercare le ragioni dell’ennesima performance fuori dalle righe nei dati macroeconomici usciti è tempo perso perchè lo Zew, comunicato nella mattinata, ha fatto registrare il peggior risultato dal 1998, mentre il mercato residenziale americano ha mostrato di essere ancora ben lontano da una condizione di salute con i dati sulle housing starts, usciti nel primo pomeriggio, che facevano segnare il maggiore calo da agosto 2011. In compenso, sempre in mattinata, la Corte costituzionale tedesca dichiarava che il governo non aveva dato sufficienti informazioni al Parlamento sul programma di salvataggio dell’Europa Esm.



Paradossalmente, ma neanche troppo, è la gravità della situazione a spiegare giornate come quella di ieri. I problemi in Europa sono tanti e tali e hanno raggiunto una tale gravità che o si prendono, in breve, misure per tentare di risolvere il problema alla radice, con buona pace della Germania che più o meno volentieri accetta un cambio radicale nella Bce, oppure l’euro ha i mesi contati. Anche perchè le uniche conseguenze certe dei rumours sui piani allo studio, inclusi blocchi degli sportelli e sospensione dei trattati di Schengen, per gestire l’eventuale transizione a nuove valute sono quelle di rendere gli scenari peggiori sempre più probabili con le file davanti alle filiali e le economie che si avvitano per una certa comprensibile riluttanza a consumare e investire.



Il piano monstre di salvataggio delle banche spagnole, lo spread Bonos-Bund a livelli astronomici (e quello italiano a livelli di guardia) e la relativa impossibilità per lo stato iberico di finanziarsi sui mercati mettono tutti, Germania inclusa, di fronte a una scelta che ha solo due alternative, rosso o nero, con l’impossibilità ormai di prendere ulteriore tempo. La storia recente fa il resto, dato che il mercato ha già scontato con un certo grado di probabilità la fine dell’euro e una nuova recessione prolungata e quindi si può permettere di scommettere, come avvenuto ieri, su un cambio di azione in cui, per esempio, l’Italia non è fallita, le sue banche nemmeno e gli euro degli italiani saranno ancora tali tra dodici mesi. Il corollario è che in questo caso sarebbe tutto da comprare.



La propensione al rischio e alla scommessa è accentuata da due componenti. La prima è che gli investitori sono già da tempo “scarichi” di Italia e probabilmente Spagna a tutti i livelli (azioni, obbligazioni corporate, statali, ecc.). La seconda è che va bene i “beni rifugio”, oro, valute pregiate, immobili in piazze sicure, ecc., però se il rischio è l’apocalisse finanziaria allora tanto vale “provarci”, perchè perdere i soldi in borsa è il minore dei mali.

Prima di passare al lato “americano” della vicenda sempre, purtroppo, “offuscato” dai problemi europei, è bene chiudere dicendo che così come la Francia non è la Germania, nonostante Sarkozy abbia provato a farci credere il contrario, anche la Spagna non è l’Italia, perchè le banche italiane hanno fatto, riuscendoci, gli aumenti di capitale sul mercato con dolorose diluizioni degli azionisti domestici e perchè se l’Italia avesse il 24% di disoccupazione con annessa paurosa bolla immobiliare, sarebbe già da tempo finita nei libri di storia.

Nella fase attuale però il tema è ancora “rottura dell’euro” o meno; la seconda ipotesi si dovrebbe poi delineare in chi e come rimane nella moneta unica e in chi e come ne esce, ma i programmi di uscita, come noto, non solo non esistono, ma si portano dietro conseguenze difficilmente ponderabili del tipo che se fallisce l’Italia allora neanche la Francia e la Germania se la passano bene.

Sul lato americano invece aspettiamo per oggi al varco la Fed per vedere se ci sarà un’altra tornata di immissione di liquidità con i mercati che hanno già scommesso sulla risposta affermativa. Inutile dire che un Presidente in cerca di rielezione di tutto ha bisogno tranne che di un’economia in declino e di una borsa in ribasso; le pressioni americane sulla Merkel sono utili e dovute e di certo è difficile dolersene, ma il pulpito da cui viene la predica non è esente da critiche e anche gli Stati Uniti dovranno, prima o poi, affrontare il tema del deficit statale, mentre oltre alle banche spagnole anche Jp Morgan ha dato qualche brivido al mercato con i miliardi di dollari persi dall’investment office di Londra qualche mese fa (senza considerare Lehman e compagnia). I fari rimangono puntati su Fed e Bce, via Germania, tutto il resto per ora sembra secondario.