Con lo spread a 470, timori di piani di salvataggio anche per l’Italia, dibattiti sulla sopravvivenza o meno dell’euro un giorno sì e l’altro pure sui quotidiani di mezzo mondo, ieri sera il fondo inglese Pamplona Capital Management ha annunciato di aver acquistato il 5% di Unicredit con l’assistenza di Deutsche Bank. A questo punto della vicenda qualche perplessità è lecita. Per quanto il fondo di Private equity si sia tutelato stipulando opzioni put e call su 290 milioni di azioni di Unicredit, la scommessa presa su una delle maggiori banche italiane non è stata timida, dato che la partecipazione è costata circa 700 milioni di euro e che da oggi il fondo è il secondo azionista di Unicredit dieto agli arabi di Aabar. Sulla notizia si possono mettere sul tavolo una serie di considerazioni sparse in attesa che arrivino nuovi elementi utili.
Acquistare una partecipazione così importante in una banca italiana è oggi un’operazione infinitamente meno costosa di quanto lo fosse solo tre anni fa. Il listino italiano dopo tutto quota a meno di un terzo dai valori precedenti alla crisi, mentre il calo delle banche è stato, in media, ancora più pronunciato. Oggi chi dispone di liquidità e magari si finanzia sui mercati internazionali a costi nettamente inferiori a quelli disponibili in Italia può accollarsi scomesse certamente rischiose, ma a costi più che ragionevoli e su un mercato che sta sostanzialmente ai minimi di sempre; anche se è importante ribadire che niente assicura che i quasi minimi di oggi non possano essere ulteriormente battuti. Il corollario di questa precisazione è che, se mai l’Italia uscisse dall’euro, sul listino italiano per un compratore estero dotato di finanza a buon mercato e valuta pregiata, si potrebbero manifestare opportunità di acquisto eccezionali.
Pamplona Capital Management a dispetto del nome è un fondo inglese fondato dal russo Alexander Knaster. Un portavoce del fondo ha dichiarato di credere che “il management team di Unicredit possa orientarsi con successo nella crisi europea per rafforzare ulteriormente la posizione della banca nel proprio mercato di riferimento”. Il problema è quale sia il mercato di riferimento di Unicredit dato che la società è l’unica banca italiana con una presenza massiccia sui mercati esteri in particolare Germania ed Est Europa.
Un altro punto meritevole di sottolineatura è su quale tipo di scommessa abbia deciso di prendere Pamplona Capital Management. Potrebbe essere una scommessa a leva tre sull’Italia, sul buon esito delle discussioni in atto a livello europeo, sulla permanenza nell’euro e su una ripresa economica, più o meno vicina, che possa in qualche modo riportare la redditività di Unicredit a valori più in linea con quelli di un normale ciclo economico. Il timing dell’operazione non è necessariamente indicativo di una ripresa imminente, perchè scommesse di questo tipo hanno un carattere di medio-lungo termine su sottovalutazioni (certo questa è l’opinione di Pamplona) che possono risultare convenienti al di là delle oscillazioni di prezzo, anche al ribasso, che si possono manifestare sul breve termine.
In alternativa alla scommessa “a leva tre” sull’Italia si potrebbero immaginare altre ipotesi di creazione di valore. La più immediata potrebbe essere un’operazione di separazione tra le attività italiane e quelle estere di Unicredit in un contesto in cui le prospettive economico-finanziarie dell’Italia e quelle della Germania o dell’Est Europa sembrano più che mai divergenti. È inutile precisare che una banca tedesca con una buona presenza sui mercati dell’Est Europa sia, a torto o a ragione, oggi molto più appetibile di una banca italiana che ha infinite difficoltà a raccogliere sui mercati finanziari e che deve affrontare una situazione economica recessiva che si potrebbe prolungare fino al 2013.
In altre parole, Pamplona Capital management potrebbe aver acquistato una banca tedesca al prezzo di una italiana. Immaginiamo che il processo non sia breve e semplice, ma le prospettive di guadagno potrebbero giustificare qualche rischio. Siamo nell’ambito delle ipotesi difficile da immaginare e apparentemente molto lontane nel futuro, ma mai come in questi tempi la realtà finanziaria ci ha abituato a prendere in considerazione ipotesi considerate impossibili.