Stamattina l’agenzia Moody’s ha tagliato il rating dell’Italia di due notch esattamente da baa2 a A3 appena due gradini sopra il livello “junk” (letteralmente spazzatura). Secondo Moody’s, nel corso degli ultimi cinque mesi (data dell’ultimo giudizio dell’agenzia) è diventato più probabile che l’Italia subisca un altro incremento dei costi di finanziamento e un altro peggioramento economico. L’agenzia ovviamente si riserva di rivedere il proprio giudizio in futuro, abbassandolo, in presenza di ulteriori peggioramenti dell’economia o difficoltà nel fare le riforme.
Il downgrade avviene nello stesso giorno in cui il signor Bofinger, uno dei cinque economisti consiglieri di Angela Merkel, in un’intervista a Il Corriere della Sera dichiara che se si considera l’avanzo strutturale l’Italia risulta perfino più solida della Germania e che il rendimento del 6-6,5% sul debito statale è ingiustificato. Sulla vicenda di giornata si possono fare alcune considerazioni.
Le agenzie di rating sembrano ormai arrivare molti mesi o settimane dopo i mercati che hanno già spedito il costo del debito italiano a livelli insostenibili e che hanno già mandato il mercato azionario ai minimi di sempre; per cui non ci stupiremmo affatto se il mercato ignorasse il downgrade e semplicemente si concentrasse sulle prossime evoluzioni economico-politico-europee sostanzialmente bollando questa ultima novità come una certificazione tardiva e probabilmente persino un po’ “naif” di eventi già perfettamente noti.
Se mai occorresse una conferma, il downgrade ha evidenziato il circolo vizioso in atto in cui maggiori costi del debito statale si traducono in difficoltà per il sistema bancario e industriale, in maggiori tasse che si traducono in minore crescita, che si traduce, per chiudere il cerchio, in un nuovo rialzo dello spread. Il circolo vizioso in atto è perfettamente noto al mercato, facilissimo da capire (non occorre di certo una laurea in economia) e quindi non solo alimenta qualsiasi tipo di “speculazione”, ma cancella di fatto dal mercato ogni “forza” o “spinta” contraria, perché in presenza di questo meccanismo nessun investitore che debba produrre un resoconto aggiornato delle proprie posizioni sarebbe così sprovveduto da immettere un ordine di acquisto anche se convinto delle opportunità date da un costo del debito troppo alto (o un mercato azionario troppo basso) per i fondamentali dell’economia.
I problemi principali a questo punto sono due: il primo è, a livello europeo, fino a che punto valga la pena in generale che la storia prosegua in questo senso indipendentemente dai reali stati di salute delle economie europee. In altri termini, indipendentemente dal fatto che l’attuale spread sia o meno giustificato, l’unica conclusione possibile in assenza di inversioni è un continuo peggioramento dell’economie con alti costi del debito verso conclusioni imponderabili tra cui, per forza di cose, la rottura dell’euro. Conclusione che avverrebbe con economie già al collasso.
Il secondo è se gli attuali “spread” non siano giustificati e siano invece il prodotto di distorsioni del mercato, più o meno pronunciate, più o meno volute e più o meno macchiate da “malafede”. Se, come sostiene l’attuale governatore della Banca d’Italia, siamo in presenza di questo scenario, allora l’Italia ha tutto il diritto e ha come priorità assoluta, più che nuove tasse, di ottenere uno scudo temporaneo. Non si tratterebbe di elemosinare niente, perchè l’Italia finora non ha ricevuto aiuti, non ha un sistema bancario a pezzi, è pur sempre il terzo azionista della Bce, ha un avanzo primario che nessuno può evitare di non “apprezzare” e infine perchè da questa situazione non sta guadagnando nulla.
L’ultimo appunto invece si confronta con la situazione che sta vivendo la Germania (ma anche la Francia) che anche grazie alle disgrazie dei partner europei piazza debiti con rendimenti negativi, ha ottenuto per il proprio sistema industriale una pesante svalutazione dell’euro e sta mettendo in ginocchio le imprese concorrenti. Questa è la vera partita che deve giocare l’Italia al di là dei downgrade di turno, altrimenti l’unica conclusione possibile è solo quella in cui si esce dall’euro col sistema industriale ed economico a pezzi.
Se questa partita non si può vincere, allora meglio davvero minacciare l’uscita dall’euro perchè nella situazione attuale il confine costi/benefici sta diventando sempre più labile. Ma se il premier Monti in questo contesto va all’Allen Conference di Sun valley e poi in Europa pensa che basti presentarsi ai meeting con i compiti fatti perchè “gli amici” europei tendano la mano, allora c’è poco per cui essere ottimisti.