Ieri era il primo giorno lavorativo del cancelliere tedesco dopo le meritate vacanze e presumibilmente sarebbe servito alla signora Merkel per preparare il viaggio ufficiale in Canada previsto per il 15 e il 16 agosto. Il “mercato” non si era lasciato sfuggire l’agenda ed era pronto a pesare le dichiarazioni che il cancelliere avrebbe eventualmente rilasciato sulla situazione europea, in particolare dopo il mini-rally che si è visto sulle borse europee, italiana e spagnola in primis, dopo il discorso di Draghi. Molto probabilmente, però, per non dire sicuramente, il mercato non si aspettava che all’alba del 14 agosto, con mezza Europa in vacanza, arrivasse la notizia che la decisione della Corte costituzionale tedesca sulla legittimità del fondo di salvataggio Esm potrebbe essere rinviata per un lungo periodo di tempo. Anzi, secondo alcuni, addirittura “sine die”. Secondo Handelsbatt, infatti, la Corte costituzionale ha ricevuto un ulteriore appello contro il pacchetto di salvataggio dell’euro che rischierebbe seriamente di spostare la decisione dalla data originariamente fissata per il 12 settembre.
La data, per la cronaca, costituiva ormai da settimane, per non dire mesi, l’appuntamento a cui il mercato guardava con enorme attesa per capire se le promesse di Draghi e della Bce avrebbero potuto essere mantenute e, soprattutto, se la Germania avrebbe alla fine, e in che misura, accondisceso agli interventi di immissione di liquidità e abbassamento degli spread. Se quelle di ieri sono le premesse, allora è il caso di prepararsi al piano B; quello per la cronaca dove non c’è nessun intervento esterno risolutore e alla fine bisogna fare da soli attraversando le agitate acque dei mercati. D’altronde non sono chiare le ragioni per cui i tedeschi dovrebbero abbandonare la linea seguita finora. Ancora ieri l’emissione di Bund a sei mesi presentava un rendimento negativo mentre nel 2012 la bilancia commerciale della Germania, secondo uno studio dell’Ifo commissionato dal Financial Times Deutschland, sarà superiore a quella di qualsiasi altro Paese del mondo, Cina inclusa.
Per il primo punto, in un mercato globale dove gli asset “risk free” sono sempre più merce rara e dove gli investitori non vogliono neanche sentire la parola rischio purchè il capitale sia salvo, basta considerare che la Germania risplende in un continente dove la Grecia è sostanzialmente fallita e potrebbe uscire dall’euro, dove Spagna e Italia viaggiano a rendimenti da capogiro con economie in calo e dove perfino Francia e Inghilterra non se la passano troppo bene, per non parlare delle finanze traballanti americane che il prossimo Presidente dovrà alla fine affrontare con misure inevitabilmente non troppo simpatiche. Per il secondo punto, la Germania raccoglie i frutti di quanto, bene, investito negli ultimi venti anni e di un euro finalmente non più ai valori stellari di dodici mesi fa, grazie alle ben note vicende europee e di Piigs, che sta dando una spinta alle esportazioni.
Per quale motivo la Germania non debba prolungare la situazione attuale è una domanda facile: nessuno. Dopo due anni di scossoni finanziari all’area euro il sistema tedesco regge ancora alla grande e bisogna “solo” prestare attenzione a evitare che la situazione sfugga di mano sotto i colpi dei mercati; ma per questo c’è Draghi con le sue promesse e la Bce che alla fine di tutto è anche riuscita a mettere in campo qualche misura tampone soprattutto sui bond a breve scadenza, e pazienza se i problemi vengono solo rimandati. È abbastanza difficile prevedere la reazione dei mercati alle ultime notizie, tanto più in un periodo così vacanziero, con, in aggiunta, gli investitori distratti dalla campagna presidenziale americana e dalle proposte dei due candidati per fermare la crescita del deficit e del debito Usa.
Per quanto riguarda l’Italia, si conferma sempre di più lo scenario in cui la speranza in interventi esterni risolutori è mal riposta e in cui gli alleati non sono necessariamente da cercare tra i paesi appena fuori i confini. Il futuro finanziario italiano si annuncia agitato e purtroppo non esente da difficoltà. Fare le riforme giuste è già difficile, farle in un contesto così sfidante ancora di più. Il rischio di perdere la calma per tranquillizzare i mercati, magari in subbuglio, è decisamente alto. L’ultima volta, per esempio, si sono alzate l’Iva e le tasse sulla benzina con i risultati che ora sono sotto gli occhi di tutti; lo spread è ancora più che preoccupante e la gente ha smesso di usare la macchina (e per la cronaca le maggiori entrate da incremento accise sono state vanificate).
Questa volta potrebbe toccare a Eni e Finmeccanica e sarebbe devastante per il futuro economico, e non, italiano; anche perché le tasse male che vada si abbassano, mentre l’Eni (che tra l’altro controlla uno, se non il, gioiello dell’ingegneria italiana Saipem) è irreplicabile e di certo il fortunato compratore non si sognerebbe mai di restituirla; stesso discorso per le prede naturali che popolano piazza Affari da Telecom Italia passando per banche e assicurazioni. Basterebbe osservare il caso Parmalat per capire il rischio potenziale che si corre, ma nella confusione che verrà si magnificheranno le incredibili prospettive e opportunità di disfarsi, magari a prezzi di saldo, di pezzi grandi e pregiati dell’industria nazionale.
Molto meglio, ma nettamente, una patrimoniale che impoverisce allo stesso modo, ma almeno non riduce a un Paese di solo turismo e “cultura”; l’ultima nazione che ha scelto questa via si chiama Grecia e sappiamo tutti come è andata a finire.
P.S.: Per iniziare basterebbe non chiudere la più grande acciaieria d’Europa che rifornisce migliaia di imprese italiane; già ci immaginiamo la fila di imprese straniere, magari con siti a un tiro di schioppo dall’Italia, pronte a “sacrificarsi”.