Nonostante tutto, nonostante in particolare mesi e mesi di delusioni, di meeting europei che avrebbero dovuto risolvere la situazione, di riunioni, conference call e summit vari che non avevano prodotto niente di pratico e che avevano lasciato il mercato dei bond periferici europei vulnerabile, nonostante tutto questo, da una settimana il mercato si era “fidato” delle parole del governatore della Bce, Mario Draghi, che aveva speso sicuramente tutta la sua credibilità e probabilmente anche buona parte di quella dell’istituzione che rappresenta con queste parole: “Nell’ambito del nostro mandato la Bce è pronta a fare di tutto per preservare l’euro. E credetemi: sarà sufficiente”.
Quello che è successo dal giorno della dichiarazione, il 26 luglio, e fino a pochi minuti prima della conferenza stampa odierna è stato un atto di fiducia del mercato equity, con quello italiano sopra del 15% in una settimana, di quello dei bond, con lo spread Btp-Bund ridotto di 100 punti, e, perfino, a ridosso dello speech di Draghi, del mercato forex, con una timidissima scommessa e un accenno di rafforzamento dell’euro sul franco svizzero.
L’idea circolata sul mercato era più o meno questa: stavolta Draghi è andato troppo in là con le promesse, giocando appunto tutta la credibilità di cui dispone, per non promuovere azioni veramente “effettive” e, data la situazione, drammatica, questo qualcosa di effettivo non può essere niente di meno di un netto cambio di ruolo della Bce che risolva, con immissione di liquidità, la situazione dei debiti sovrani dell’area euro. Quello che è successo sui mercati in poco più di due ore quando si è capito che nulla era cambiato e che la cura era soltanto l’ennesima tornata di promesse è stato davvero impressionante, anche considerato i tempi singolari che si sono succeduti dal fallimento di Lehman in poi. Il mercato italiano è passato da +3% a -5%, lo spread da 435 a 510 e così via per un considerevole numero di indici.
Da oggi nessun discorso, dichiarazione o risposta verbale potrà più convincere i mercati che questa Bce e questo Governatore abbiano davvero qualche potere e che la Bundesbank non abbia il diritto di veto sulla Bce e le sue politiche. La credibilità a pezzi della Bce è solo la prima e più immediata conseguenza. Per il resto vale la dichiarazione di Draghi per cui: “Prima di tutto i governi devono rivolgersi all’Efsf. La Bce non può sostituire i governi”. E, in particolare, aggiungiamo non può sostituire la Bundesbank e il governo tedesco. Per questo da oggi in poi i mercati guarderanno all’unico vero decisore europeo, alla Germania, mentre tutto il resto, dalle dichiarazioni di Monti a quelle di Draghi, rientrerà nel “folklore locale”.
Se anche ci fossero, come è probabile, storture derivanti da una speculazione “cattiva” su alcuni membri dell’area euro, a questo punto della vicenda è un tema sorpassato e soprattutto secondario per la Germania. Il tema primario per lo Stato tedesco è assicurarsi che non vengano sprecati i propri soldi e che gli stati spreconi facciano davvero le riforme e i tagli. Evidentemente sull’ultimo punto gli sforzi fatti non sono ritenuti sufficienti e non sono ammessi concessioni di fiducia; in altre parole, nessun regalo, sempre ammesso che si tratti per tutti di regalo, prima di vedere le riforme vere.
Giusto o sbagliato che sia, a questo punto non importa, le conseguenze per l’Italia sono probabilmente queste: altri mesi di passione per l’economia reale con le banche con l’acqua alla gola e lo Stato italiano costretto a pagare alti tassi e un’altra tornata di tagli e di nuove tasse per recuperare i soldi che non possono più arrivare da un’economia in declino.
Esclusa l’ipotesi di uscita dall’euro, che non sembra al momento contemplata, gli unici spazi di manovra potrebbero essere quelli di scegliere che tagli fare, di preservare, se possibile e per come possibile, il sistema industriale del Paese e di evitare che la crisi sfoci in tensione sociale. Sembra limitato e banale, ma non lo è, perchè in questa fase decidere cosa e come tagliare e che tasse eventualmente alzare è l’unica cosa che rimane da fare e perchè a questo riguardo gli spazi di manovra non sono pochi, né sono trascurabili le conseguenze di quello che si sceglie di fare.
È certo invece che la strategia tedesca per l’Europa o per se stessa, a seconda che si dia la buona o la mala fede e a seconda del Paese periferico colpito, sembra molto azzardata per le conseguenze economiche e politiche che potrebbe determinare. Non sempre i fatti seguono le teorie economiche e giocare con crisi e disoccupazioni al 25% è un mestiere difficile. In conclusione, attendiamo al varco le prossime misure di Monti sperando che bastino e che siano, almeno, sensate. Non è più il tempo di offrire contentini ai mercati e ai tedeschi in attesa dell’intervento esterno risolutore; questo è ormai sicuro.
P.S.: Ognuno si chieda se in questa situazione la Francia potrebbe mai anche solo contemplare l’ipotesi che un giudice possa decidere di chiudere un impianto che occupa più di diecimila persone in un’area depressa. Ma questa, forse, è un’altra storia; o, forse, è una parte della storia che ci ha portato fino a qua.