Il lancio della nuova Punto che doveva essere previsto per il 2013, poi rinviato al 2014 sembra, secondo gli ultimi rumours, verrà posticipato al 2015 con un lasso temporale che in questa fase e con le incertezze attuali equivale a un lunghissimo periodo di tempo. D’altra parte la crisi in Europa è ancora notevole, i dati di vendita del settore auto, soprattutto in Italia, sono impietosi e la filosofia di Marchionne rimane abbastanza chiara: non si fanno investimenti in nuovi modelli per un mercato che farebbe molta fatica a accoglierli. Le difficoltà finanziarie di Peugeot che invece non ha seguito questi principi sono un monito formidabile per non farsi indurre in tentazione e per continuare con la linea della navigazione a vista.



Se i problemi finanziari, economici, di sovracapacità produttiva, di inefficienza fossero comuni a tutti i produttori auto europei, con differenze contenute, la questione sarebbe tutto sommato semplice e si tratterebbe di sopravvivere, più o meno bene, in attesa di una ripresa economica adeguando nel frattempo le aziende alle mutate prospettive di medio-lungo termine del settore auto. Putroppo però non è questo il caso e nel panorama auto europeo si nota qualche fatto degno di nota che ci consegna un altro scenario: uno è che Volkswagen continua imperterrita a macinare utili, un altro è che il gap di competitività tra Volkswagen e le altre società europee si è allargato a dismisura, l’ultimo è che in un modo o nell’altro si pone il problema di recuperare competitività senza poter usare la leva di nuovi investimenti. Il problema ovviamente si pone anche per Fiat.



A questo riguardo stanno emergendo se non delle soluzioni quanto meno alcune linee guida che Fiat potrebbe seguire. Il lancio della nuova Punto dovrebbe essere contenuto nell’aggiornamento del piano industriale che verrà presentato nel terzo trimestre, e lo sviluppo del nuovo modello potrebbe essere legato a un accordo con un nuovo partner che ne condivida i costi e che potrebbe essere individuato in Suzuki che sta tentando di liberarsi da un precedente accordo con Volkswagen. Rimane aperta la questione della nuova Bravo; gli ultimi rumours danno per possibile, se non probabile, lo spostamento della produzione in Cina dove Fiat nella fabbrica di Changsha produce già la Viaggio nello stesso segmento della Bravo; rimarrebbe il problema dello stabilimento di Cassino, ma a Marchionne non sembra dispiacere poi tanto l’idea di ridurre la capacità in Europa in generale e in Italia in particolare.



Tanto più che l’altra “linea guida” porta dritto verso una fusione tra Fiat e Chrysler con un probabile spostamento del listino di riferimento da Milano a New York per un gruppo che a tendere sarà sempre meno “europeo”.

Se queste sono le ipotesi oggetto di studio i problemi di Fiat diventano, molto di più rispetto a una crisi con annessa ristrutturazione “normale”, anche problemi italiani con enormi punti di domanda sul destino della presenza industriale massiccia che Fiat ancora mantiene in Italia. Infatti non si tratterebbe di una fase temporale destinata a essere riassorbita, ma di un cambio radicale e di lungo termine di Fiat, che una volta “partita” difficilmente tornerebbe sui propri passi avendo cambiato radicalmente la propria struttura.

In questo senso l’attuale governo e quello che verrà non possono ignorare il problema, e soprattutto non possono evitare di prendere atto che la questione è molto più radicale di quanto lo sia stata in qualsiasi crisi precedente. Il corollario è che non è possibile affrontare questo cambiamento con gli strumenti e le armi conosciute, a partire dagli incentivi per finire con qualche minaccia o concessione. I problemi che si pongono sono se in Italia ci sia un ambiente adatto allo sviluppo delle imprese industriali e in particolare a quelle del settore automobilistico. La domanda si aggiunge a quella se l’Italia voglia ancora avere un’economia industriale, sempre ammesso che ci siano alternative, o se invece non si voglia abbandonare questo settore.

Tutto ciò prescinde dalla buona o mala fede di Fiat che pure non è un fattore secondario. Qualsiasi infatti sia la pressione che il sistema Italia può o deve esercitare su Fiat, se mancano le condizioni perché un certo tipo di impresa possa prosperare in Italia qualsiasi sforzo sarebbe nel medio lungo termine inutile. Il caso Volkswagen se non altro dimostra che certe cose si possono ancora fare, mentre gli sforzi enormi del governo francese per salvare l’industria auto nazionale, che certe cose vale ancora la pena farle. L’unica cosa certa per l’Italia è che è meglio mettere mano alla questione presto prima che pezzo dopo pezzo sede, stabilimenti e quant’altro migrino al di fuori dei confini.